I palestinesi sono esclusi dalle intese raggiunte da Israele e Giordania per la Spianata delle Moschee, annunciate ieri dal Segretario di stato americano John Kerry, volte a placare l'”Intifada di Gerusalemme” divampata a inizio ottobre nei Territori occupati. Il presidente dell’Anp Abu Mazen, che Kerry ha incontrato ad Amman assieme a re Abdallah, è stato soltanto il destinatario delle richieste statunitensi, a cominciare da quella di agire subito e con determinazione per spegnere la nuova rivolta. La sua richiesta di protezione internazionale per le moschee e i Territori occupati e la sua denuncia delle violenze dei coloni israeliani e delle politiche di occupazione, sono cadute nel vuoto.

 

Il gioco vero sulla Spianata delle moschee lo faranno solo Israele e Giordania. Kerry ha detto che gli accordi comprendono un monitoraggio video 24 ore su 24 e il riconoscimento di Israele del ruolo storico della Giordania come custode del sito. Rappresentanti delle due parti si incontreranno per discutere nuove misure per rafforzare la sicurezza. Il governo israeliano ha assicurato che non cambierà lo status quo sul luogo santo, il terzo per importanza dell’Islam. Gli ebrei perciò non vi potranno pregare. Ciò non significa che cesseranno le “visite” dei nazionalisti israeliani, quelli che il governo Netanyahu descrive come “turisti”, al sito dove, secondo la tradizione, sorgeva il Tempio distrutto dai Romani duemila anni fa. Proprio queste “escursioni”, talvolta con la partecipazione di ministri dell’ultradestra religiosa, sono state il propellente delle proteste palestinesi. Senza dimenticare che il ministro Gilad Erdan ha stabilito una serie di regole ed orari per l’ingresso e l’uscita al luogo santo che prima erano decise solo dal Waqf islamico e non da Israele. Un primo test per le intese israelo-giordane è previsto già questa mattina, quando alle 7.30, come avviene ogni domenica da diversi mesi a questa parte, si presenteranno all’ingresso delle moschee i “turisti” israeliani. Il blog http://mount-home.blogspot.co.il/ – tra i più seguiti dai sostenitori della ricostruzione del Tempio e della sovranità ebraica sulla Spianata – esorta a moltiplicare le presenze per contrastare i “nemici” (i palestinesi).

 

Da giorni serpeggia il malumore tra i rappresentanti della destra nazionalista religiosa, che denunciano la presunta arrendevolezza di Netanyahu privo, a loro dire, del polso necessario per schiacciare l’Intifada. Il premier in realtà non è affatto lontano dalle loro posizioni. Piuttosto guarda lontano, agli esiti politici. Denuncia l’escalation di queste ultime settimane per distruggere l’immagine di Abu Mazen e dei palestinesi. E’ un imperativo per prevenire la creazione di uno Stato di Palestina sovrano, soluzione che ancora riscuote consensi in Occidente, e imporre quel protettorato sotto controllo israeliano al quale pensa da anni. Il lavoro sull’immagine dei palestinesi è costante, lo testimonia l’accusa fatta da Netanyahu nei giorni scorsi al Mufti palestinese della Seconda Guerra mondiale di aver ispirato ad Adolf Hitler lo sterminio degli ebrei. Per il premier la nuova Intifada non è il risultato dell’occupazione militare dei Territori, è il frutto dell’incitamento e delle “menzogne” dei leader politici e religiosi palestinesi che vorrebbero impedire agli ebrei di visitare la Spianata delle moschee. Tesi in gran parte sposata da Kerry che ieri ad Amman, come aveva fatto nei giorni scorsi, ha più volte esortato a cessare l’incitamento alla violenza.

 

L’elenco dei palestinesi uccisi intanto si allunga. Ferito venerdì da spari dei soldati israeliani, Khalil Abu Obeid, 25 anni, è spirato ieri in ospedale. E’ il 15esimo palestinese di Gaza ucciso da inizio ottobre. A posto di blocco di Jalama (Jenin) un ragazzo palestinese è stato ucciso dai militari. Le autorità israeliane affermano aveva tentato un accoltellamento, i palestinesi smentiscono.