La guerra degli ombrelloni, dopo anni di rinvii, è finita. Forse. Sulla carta non dovrebbero esserci ombre. Incalzato dalla minaccia europea di far scattare la procedura d’infrazione, con la lunghissima proroga decisa dal governo gialloverde abbattuta dal Consiglio di Stato, il governo ha varato in meno di tre ore la norma in sospeso da anni e anni. Unico colpo di freno la pausa tecnica di 45 minuti per dar tempo ai ministri di leggere il testo, poi tutti alzano disciplinatamente la mano, nell’eterna pantomima che vede la Lega, e in questo caso anche Fi, ruggire di fronte alle telecamere e belare di fronte a Draghi. Approvazione all’unanimità dell’emendamento al decreto Concorrenza, già in discussione al Senato, che rovescia come un guanto l’ordinamento per gli stabilimenti balneari, 27mila concessioni, 300mila operatori.

PARTITA CHIUSA? Non è detto. Resta l’aula e i votanti di ieri promettono di non rivotare il testo così com’è nella prova finale: «Grazie a noi il testo è migliorato rispetto alla proposta iniziale. Ora siamo al lavoro per cambiarlo e migliorarlo in parlamento», promette il sottosegretario all’Agricoltura leghista Centinaio. Per una volta gli azzurri sono ancora più battaglieri: «La vicenda non è chiusa perché il testo dovrà venire in parlamento e qui la musica sarà diversa». Cose che si dicono. Repertorio. In parte è certamente così, però il centrodestra di governo dovrà vedersela con l’offensiva in piena regola del centrodestra d’opposizione, di sorella Giorgia, che sente di aver addentato la preda, al secolo l’amico Salvini, e figurarsi se molla la presa.

Già al mattino, con apposita intervista, Meloni aveva strillato che a questo punto con Salvini «serve un chiarimento politico». Il leghista, indossati in fretta e furia i panni dello statista aveva risposto a brutto muso: «Sto lavorando per ridurre le bollette e non commento le polemiche. È nostra precisa scelta essere protagonisti della ricostruzione del Paese. Se qualcuno vuole stare fuori, faccia». Giusto per non fare polemica, Meloni commenta così il testo: «È il primo atto di un esproprio ai danni di 30mila imprese e un vergognoso regalo alle multinazionali straniere. A chi dice che cambierà in parlamento rispondiamo che FdI ci proverà fino all’ultimo. FdI non tradisce gli impegni presi».

MA COSA DICE la legge che, ancor prima di essere varata, ha dilaniato un centro destra già esploso? L’emendamento in sé conferma la proroga solo per il 2023. Dal primo gennaio le concessioni, tranne quelle assegnate per concorso, andranno a gara. Il riordino del settore è affidato a una legge delega che impone il varo entro sei mesi dei decreti in materia. L’elenco dei criteri è insieme dettagliato e vago: le concessioni dovranno essere assegnate con trasparenza e imparzialità, con bandi da avviare con un anno di anticipo. Dovranno favorire la «massima partecipazione» delle imprese piccole e piccolissime, con tanto di tetto alle concessioni multiple per frenare l’arrembaggio denunciato e temuto dai fratelli tricolori, e il possibile, anzi probabile frazionamento delle concessioni per far posto un po’ a tutti. Le tariffe dovranno essere «adeguate» e sarà addirittura necessario rispettare la legge che obbligherebbe a garantire l’accesso gratuito al mare ovunque.

Quanto ai requisiti degli aspiranti concessionari, sarà utile l’esperienza già maturata nel settore, ma senza che ciò sbarri la strada ai nuovi arrivati. Avranno una qualche precedenza i soggetti che negli ultimi 5 anni si sono sostentati grazie appunto alla concessione e sarà necessario garantire «la stabilità occupazionale del personale». La durata della concessione non dovrà superare il tempo necessario per l’ammortamento e l’«equa remunerazione» degli investimenti.

IL GRAN PASSO è stato fatto ed era necessario. Sulla carta alcuni correttivi pensati per frenare l’arrembaggio ai danni dei più piccoli e delle imprese a conduzione familiare dovrebbero esserci ma il rischio per i lavoratori e per le imprese esposte alla destabilizzazione rimane. Quanto quei correttivi saranno reali dipenderà da cosa verrà scritto nei decreti attuativi.