Alla Stazione marittima di Napoli la prima assemblea nazionale dei comitati promotori di Articolo1 – Mdp: sono arrivati ieri mattina in treno e in pullman soprattutto dal centro e sud Italia, 2.200 i registrati, tanti da dover aprire una seconda sala. L’idea è chiara: gli ultimi governi, inclusi quelli a guida dem, hanno marginalizzato il Mezzogiorno, ripartire da Napoli serve a marcare la discontinuità con il Pd. Per ora è una dichiarazione di principio, l’appuntamento per la conferenza programmatica è il 20 e 21 maggio a Milano. Prima, il 25 aprile, tutti a Milano al corteo della Liberazione. Il primo a presentarsi è Massimo D’Alema: «I grandi partiti si devono mettere d’accordo per fare la legge elettorale», spiega ai cronisti, «il problema principale è eliminare i capilista bloccati. Era anche un impegno del Pd consentire ai cittadini di scegliere i loro parlamentari». E sul governo: «Abbiamo proposto alcune leggi, come il riconoscimento della cittadinanza ai nati in Italia. Sosteniamo gratis l’esecutivo, è normale discutere un’agenda di cose da fare».

Pier Luigi Bersani conia la metafora del giorno: «Facciamo nascere il bambino al sole di Napoli». Niente palco per i due big (che incassano comunque l’applauso più lungo), ai cronisti Bersani ribadisce che il governo Gentiloni può arrivare al 2018: «Ma ci aspettiamo che ascolti una forza che ha 50 parlamentari e intende essere in maggioranza». Nessun rimpianto per il Pd: «Questo congresso, anticipato così e in questa forma, aveva un solo senso: dare a Renzi un mandato per fare quel che vuole. Noi ci mettiamo in movimento, anche altri si sveglino o venendo con noi o parlando con noi. Ci vuole un centrosinistra largo». Concetto che dal palco sarà poi ripreso da Massimiliano Smeriglio, vicepresidente della Regione Lazio: «Dobbiamo mettere in campo una sinistra di governo, costruire un rapporto virtuoso con Campo Progressista e Giuliano Pisapia. Il centrosinistra si ricostruisce solo insieme».
Due elementi marcano la differenza dalle assemblee Pd: meno professionisti e una pattuglia di lavoratori più nutrita; e la cassetta per le sottoscrizioni. In sala Nico Stumpo, Miguel Gotor, Alfredo D’Attorre e i capigruppo Mdp Cecilia Guerra (Senato) e Francesco Laforgia (Camera) che, dal palco, chiede la moratoria sull’uso della parola «scissionisti» per indicare Art1. Giuliano Pisapia aveva un impegno e manda un messaggio, Speranza chiarisce che Mdp parteciperà ai tavoli di Campo progressista.

E poi ci sono i napoletani. Mdp in città raccoglie soprattutto due anime: la pattuglia dei bassoliniani, in particole quelli di fede dalemiana come Mario Hubler, l’eurodeputato Massimo Paolucci e la deputata Luisa Bossa; il mondo Cgil vicino a Guglielmo Epifani, come il consigliere regionale Gianluca Daniele, ma in sala ad ascoltare ci sono anche il segretario regionale Fiom, Andrea Amendola, e Fillea, Giovanni Sannino. Poi i fuoriusciti da Sel, come l’ex sindaco di Castellammare Salvatore Vozza e il consigliere comunale Mario Coppeto, in maggioranza con gli arancioni.

Luigi de Magistris è tra gli invitati. I rapporti con Mdp attraversano una vasta gamma di sfumature: dal freddo D’Alema («È il sindaco, è naturale che possa venire») contro cui l’ex pm si è spesso scagliato; al più cordiale Epifani («Non condividiamo tutto ma è evidente che la città è viva e vitale») che ha sostenuto de Magistris nel 2011 al secondo turno e l’anno scorso dal primo. Poi c’è Arturo Scotto, passato da posizioni tiepide quando era in Sel a un’apertura convinta ora che è in Mdp.

Gli organizzatori riservano a de Magistris un posto tra D’Alema ed Epifani: il sindaco non sale sul palco, resta ad ascoltare un paio di interventi. Andando via chiarisce: «Nel Pd vedo una deflagrazione, con Art.1 ascolto e dialogo ma nessuna alleanza».

Prendono la parola molti sostenitori, dalla Sicilia alla Toscana, e poi Epifani («I fondatori del Pd avrebbero mai pensato che ci sarebbe stato l’atteggiamento degli ultimi anni contro i sindacati, le autonomie locali, la scuola, l’università?»), il presidente della Toscana Enrico Rossi («Dobbiamo consentire la partecipazione, quando verrà fuori un risultato dalle consultazioni non diremo ’fidatevi’ ma ’lo rispetteremo’»), Scotto («Rifiutiamo l’idea dell’uomo solo al comando»).

Speranza mette sul tavolo le richieste al governo: eliminare dal Jobs act la norma sui licenziamenti collettivi e introdurre la proporzionalità per quelli disciplinari; «Superare un parlamento fatto di nominati, decisi nelle segrete stanze di Roma»; introdurre la clausola Ciampi, cioè il 45 per cento degli investimenti al Sud, «i patti del governo per il Mezzogiorno hanno avuto le pagine dei giornali ma sono poco più che scatoloni vuoti per fare propaganda. Si trattava infatti di fondi europei destinati comunque al Sud». E poi l’attacco al Pd: «Siamo stati gli amici di Marchionne e Briatore, mai degli operai di Melfi e Mirafiori. Non sosterremo misure che aumentino le diseguaglianze e le tensioni». La deputata Luisa Bossa lo presenta come il leader di Mdp: il discorso programmatico e l’applauso dei big segnalano il passaggio della leadership a Speranza.