Per quanto molto laici e poco religiosi si sia, forse non bisognerebbe lasciarsi scivolare addosso la ricorrenza della Pasqua limitandosi ad assaporare le colombe e gli agnelli, o prendendosi una meritata pausa, una ricreazione.

Anzi, una ri-creazione può essere qualcosa che produce un nuovo pensiero, un desiderio, una carica di energia, se se ne approfitta per una pur piccola meditazione. La Pasqua cristiana è la festa della resurrezione di Cristo, quella ebrea ricorda l’Esodo e la liberazione dalla schiavitù. Sono eventi che fondano grandi trasformazioni. Recentemente ho letto un piccolo libro che avevo in casa da anni: il saggio di Alain Badiou su San Paolo e la fondazione dell’universalismo, in cui ho trovato una interessante traduzione di quelle che poi sono state canonizzate come virtù teologali: fede, speranza e carità. Il filosofo francese suggerisce di tradurre fede con convinzione, carità con amore, speranza con certezza. In genere si parla di speranza come della fiducia e dell’attesa di qualcosa di positivo che deve venire, che in qualche modo ci spetta. Una spinta all’azione sostenuta da un’idea di futuro.

C’è anche la speranza in una maggiore giustizia: per un credente l’idea del paradiso che premia i buoni, ma anche dell’inferno che punisce i cattivi. Da questo punto di vista dietro una certa idea di speranza si può intravvedere una corteo di sentimenti negativi, per quanto giustificati: rabbia, rancore, vendetta… L’inferno – osserva tra l’altro Badiou – è molto più popolare del paradiso, e ha sempre acceso rappresentazioni potenti.

Ma secondo lui in San Paolo non si trova questa declinazione – «giudiziaria e oggettiva» – della speranza, ma l’idea di un lavoro prima di tutto con se stessi, una «tenacia dell’amore nella prova, e non visione della ricompensa o del castigo». E ancora: «speranza non è l’immaginario di una giustizia ideale che sarà finalmente fatta, ma ciò che accompagna la pazienza della verità o l’universalità pratica dell’amore nella prova del reale».

In parole più semplici, in un momento in cui anche nel discorso pubblico della politica tornano frequentemente le retoriche del futuro e della speranza, a sostegno dei tanti necessari cambiamenti, mi sembra utile provare a immaginare una pratica politica in cui la speranza sia un sentimento e un atteggiamento mentale del presente.

Una politica che funziona, che sia davvero in grado di cambiare le cose, deve effettivamente riuscire a cambiarle subito, qui e ora, a cominciare dal modo in cui la viviamo nel rapporto con noi stessi e con gli altri.
Mentre esitavo ad affrontare un tema così impegnativo per questa rubrichetta, cercando qualche altra ispirazione in rete, ho scoperto che Alexis Tsipras ha ritenuto di formulare un augurio politico ispirato alla Pasqua, indirizzato al popolo greco. Vi si parla di un «messaggio di libertà», e persino di «gioia». Il testo finisce così, alludendo a un diverso destino della Grecia e dell’Europa: «La campana della nuova risurrezione non tarderà. Arriverà presto. Basta credere nelle nostre forze. Buona Pasqua, compagno».

Poi, per una di quelle coincidenze che la rete spesso ci offre, ho aperto il video di una conferenza di Rosi Braidotti in cui parlava in modo molto positivo del movimento greco di piazza Syntagma. Ma criticava il mio Badiou per il suo pensiero troppo carico degli assolutismi universalistici hegeliani e platonici… Ero quindi in dubbio sull’opportunità di citarlo senza troppi distinguo, quando è arrivata la provvidenziale telefonata della carissima segretaria di redazione: ma allora questa rubrica arriva o no?
Spero di sì.