Mentre le trattative tra Pd e 5 stelle sulle comunali falliscono, Enrico Letta e Giuseppe Conte continuano a incontrarsi via Zoom e scambiarsi affettuosità e l’impegno reciproco ad essere «insieme alle elezioni politiche». Dopo l’incontro di fine aprile propiziato da Goffredo Bettini, ieri nuovo summit all’assemblea nazionale di Art.1, il partito di Bersani e Speranza che prosegue nel ruolo di «lievito» del «campo largo di centrosinistra».

E se Conte ha detto che «solo chi non conosce la politica poteva pensare ad alleanze d’emblée in tutte le città» e che «non c’è nessuna sfiducia, nessuna rassegnazione, l’importante è l’orizzonte, l’intensità e la voglia di trovare soluzioni comuni».

E SE LETTA HA LODATO «il realismo di Giuseppe», Speranza ha ricordato che «nelle città c’è ancora tempo per lavorare ad accordi». E ha lanciato il cuore oltre l’ostacolo delle diffidenze tra Pd e M5S, che proprio venerdì avevano spinto il leader Pd (sotto attacco nel partito da parte dei contrari al matrimonio con i grillini) a ridimensionare la portata strategica dell’alleanza.

Speranza dunque ha esortato gli alleati: «Dobbiamo assumere un impegno a scatola vuota, dicendo che dove non riusciremo a fare un accordo al primo turno lavoreremo assieme per sostenere il candidato di chi di questa famiglia è arrivato al secondo turno».

LA PAROLA «FAMIGLIA» non è usata a caso, ma è una conferma dell’impegno di Bersani e del ministro della Salute a fare quadrato intorno alla coalizione. «Un pezzo di paese tifa perché il nostro asse si rompa», ha avvertito Speranza, «ma se si rompe il risultato è che vincono Salvini e Meloni».

Il ministro si è speso in una serie di elogi per «Giuseppe», la lotta alla pandemia li ha uniti «anche sul piano personale». «Io rispetto il suo lavoro nel M5S, va di moda insultarli, io penso l’opposto: che il Movimento rappresenta una carica di cambiamento radicale, ha coinvolto gli esclusi e interpretato le rotture nel paese». Dunque, «con Giuseppe c’è tanta altra strada da fare insieme».

Chi ascolta si domanda se Speranza e l’ex premier si accingano a fare un partito insieme. Ma così non è. Anzi il leader di Art.1 a un certo punto dice a Letta che «la sfida che hai lanciato con le Agorà ci riguarda, dobbiamo starci dentro con coraggio e con le nostre idee, insieme ad altri, come le sardine. Non dobbiamo avere paura di metterci in discussione, anche i partiti devono cambiare».

PAROLE CHE VENGONO salutate dai dem con entusiasmo: «Grazie a Roberto per aver accettato l’invito di Letta a partecipare al percorso delle agorà democratiche», commenta il vicesegretario Giuseppe Provenzano. «Abbiamo bisogno di esserci tutti, con coraggio, di cercare forme e ragioni nuove per affermare la giustizia sociale».

TRA GLI ADDETTI AI LAVORI la mossa viene letta come un «primo passo» verso un ritorno degli ex Ds nel Pd dopo la scissione del 2017, visti anche gli ottimi rapporti tra Bersani e Letta. Ma l’esito non è scontato. Se è certo che, a differenza del 2018, il Pd e Art.1 saranno alleati alle politiche, il formato dell’alleanza non è ancora stato stabilito: Speranza e gli altri potrebbero anche, come hanno fatto nel 2020 alle regionali in Emilia-Romagna, dare vita a un polo di sinistra con Elly Schlein e altri gruppi. Con la vicepresidente emiliana nel ruolo di caposquadra insieme a Speranza.

AI PROMESSI SPOSI del nuovo centrosinistra Maurizio Landini, leader Cgil presente all’assemblea, ha rivolto domande “pesanti”. A partire da una: «La precarietà la vogliamo sconfiggere oppure no?». E ancora: «Vogliamo o meno intervenire in modo radicale per una unità di diritti e tutele nel mondo del lavoro? Le forze di sinistra assumono questo bisogno o no? Oppure pur di lavorare ci va bene tutto?».

Quesiti che vanno al nodo della «rottura tra il mondo progressista e quello del lavoro» e che richiedono risposte immediate. A partire dalla riforme del fisco e delle pensioni, ma anche dalla partita «ancora aperta» che riguarda come spendere i fon di del Recovery. E anche il blocco dei licenziamenti su cui il leader Cgil chiama i progressisti a dare una mano: «Non deve durare sine die, ma fino a ottobre, fino alla riforma dei ammortizzatori».

«Siamo davanti a investimenti senza precedenti, c’è un cambiamento da progettare: è il momento delle scelte, di indicare chi si vuole rappresentare, quali interessi e quale modello di società», dice Landini. Domande che, almeno per ora, non trovano risposte chiare dai promessi sposi del centrosinistra.