Il destino della revisione della legge sanitaria lombarda del 2015 approvata dalla giunta Fontana Moratti deve ancora essere deciso. Speranza, a seguito di un’interrogazione che riprendeva una lettera del Coordinamento Lombardo per il Diritto alla Salute, che chiedeva un’iniziativa nei confronti della regione, ha avviato un’istruttoria.

La legge 23/2015 si basava sull’istituzione di 8 Agenzie di Tutela della Salute (ATS) e 27 Aziende Socio Sanitarie Territoriali (ASST). I pilastri del modello lombardo rimanevano: libera scelta, parità pubblico-privato, concorrenza tra erogatori, separazione tra programmazione, acquisto e controllo (ATS) ed erogazione dei servizi (ASST). La programmazione era ridotta ad accreditamento e contrattazione, senza obiettivi di salute basati sui bisogni della popolazione ed evidenze epidemiologiche.

NEL 2015, DOPO l’approvazione della legge, tra il governo Renzi e la Regione si raggiunse un compromesso stabilendo una sperimentazione e una verifica dopo 5 anni.
La suddivisione in ATS e ASST ha parcellizzato la risposta ai bisogni, disgregando e frammentando i servizi. L’offerta affidata al mercato ha tolto risorse alla sanità pubblica a favore dei privati. L’articolazione delle ASST in rete territoriale e ospedaliera, lungi dal favorire l’integrazione, in assenza di risorse dedicate ha ribadito la subalternità della sanità territoriale a quella ospedaliera, senza garantire a quest’ultima la programmazione adeguata.

LE ATS NON HANNO alcuna autonomia, perché i contratti con gli erogatori sono standard e fissati dalla Regione, non possono negoziare le prestazioni e gestiscono aree così vaste da precludere la verifica dei servizi, la programmazione territoriale e l’interazione con gli enti locali.
I Dipartimenti di Prevenzione, privati di rapporti con la medicina territoriale, sono stati impoveriti dal dimezzamento del personale ridotto a 2.500 unità e dalla riduzione nel 2018 della quota del finanziamento al 2,8% della spesa sanitaria complessiva.
È stato istituito un solo Distretto in ognuna delle ASST con ambiti territoriali enormi, in spregio alle indicazioni nazionali che stabilivano in 60.000 abitanti il bacino d’utenza ottimale.

Per i medici di base non è stato attuato il passaggio da un modello basato sul singolo professionista a uno associativo. Nel 2018 solo il 40% dei medici di base in Lombardia lavorava in gruppo, contro il 70% in Emilia-Romagna e oltre il 60% in Veneto.

DALL’INIZIO DELLA PANDEMIA i medici di base sono rimasti abbandonati. In Lombardia nel Marzo-Aprile 2020 solo il 53% dei casi Covid sono stati seguiti a domicilio, contro il 66% in Emilia-Romagna e il 79% in Veneto, sovraccaricando gli ospedali. La cura dei cronici è stata sottratta in parte ai medici di base e affidata a gestori accreditati senza limiti e controlli, con la crescita di un circuito privatistico parallelo. Solo il 2,5% di anziani ha ricevuto nel 2018 assistenza domiciliare, rispetto a una media italiana di 2,8 e valori nelle regioni del Centro-Nord tra 2,8 e 3,6. Le RSA private offrivano invece 289 posti per 10.000 anziani, mentre la media italiana è 180. Il modello istituzionale scelto ha avuto effetti tristemente noti.

IL RIDIMENSIONAMENTO degli ospedali ha portato sotto la soglia critica i posti letto per acuti, penalizzando offerta di ricovero e prestazioni ambulatoriali nel settore pubblico. La valorizzazione economica degli ospedali privati ha assorbito nel 2017 il 40% dei finanziamenti regionali, a fronte di una percentuale di letti del 27%, selezionando le attività più remunerate dalle tariffe regionali, in assenza di programmazione. Il personale è stato ridotto, in contrasto con l’ingiustificato aumento di costose tecnologie, oggetto di rilevanti investimenti privati. Sugli ospedali si sono riversati casi da trattare sul territorio.
La relazione sulla sperimentazione inviata dal ministro individuava vari problemi, richiedeva alcune revisioni obbligatorie e ne raccomandava altre.

ECCO LE PIÙ IMPORTANTI prescrizioni:
Ridurre le ATS a una, centralizzando i contratti con gli erogatori privati di valenza regionale, lasciando alle ASST quelli a valenza locale.
Assegnare alle ASST la programmazione sanitaria a livello locale.
Istituire un dipartimento di Prevenzione in ciascuna ASST.
Istituire nelle ASST i Distretti per la gestione e l’erogazione dei servizi territoriali.
Ridefinire le dimensioni delle ASST.

LA REGIONE HA RISPOSTO al ministero con l’approvazione della nuova legge 22/2021, ignorando le prescrizioni o limitandosi a interventi di facciata:
No all’ATS unica, rimangono 8 ATS a cui sono attribuite la verifica e il controllo delle prestazioni. Le ASST non hanno funzioni di controllo locale. Non è stato costituito il dipartimento di prevenzione nelle ASST.

SONO STATI ISTITUITI i Distretti ma senza indicare quanti per ciascuna ASST e con quale bacino di utenza. Il Distretto è uno degli erogatori dei servizi territoriali, che interagisce con altri ma non li coordina. I privati possono gestire con ampia autonomia presidi come le Case della Salute e gli Ospedali di Comunità, estendendo la privatizzazione ai servizi territoriali e alle cure primarie.
Sono rimaste le 27 ASST, senza indicarne i bacini d’utenza nè ridefinirne le dimensioni.

SIA LE RACCOMANDAZIONI che le prescrizioni obbligatorie sono state disattese. Il governo entro il 13 febbraio dovrà decidere se accogliere o respingere al mittente la nuova legge regionale; perciò è importante che giungano al ministero forti sollecitazioni per bloccare la strada a una legge che stravolge i principi del Servizio Sanitario Nazionale pubblico, equo e universalistico e costituirebbe un precedente per altre regioni che volessero avviarsi nella stessa direzione. PER QUESTO abbiamo organizzato una raccolta di firme su Change.