«Speriamo nel meglio, ma come fatto negli ultimi 22 mesi ci aspettiamo il peggio». Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia sintetizza in poche battute il clima alla vigilia della terza udienza del processo a Patrick Zaki.

SI SVOLGE OGGI, a Mansoura, la sua città natale sul Delta del Nilo. Qui lo studente egiziano dell’Università di Bologna è stato da poco trasferito dalla prigione di Tora, al Cairo, suo «domicilio» forzato dal marzo 2020, appena un mese dopo il suo arresto all’aeroporto del Cairo, di rientro dall’Italia per una visita alla famiglia.

Dopo mesi di carcere preventivo, rinnovato con crudele puntualità ogni 15 o 45 giorni, nel settembre scorso Patrick è stato incriminato. Quale sia l’accusa non è del tutto chiaro: diffusione di notizie false sulla base di un articolo che scrisse anni fa sulle condizioni di marginalizzazione della minoranza copta. Pare, perché prima il sistema giudiziario egiziano lo accusava anche di terrorismo per alcuni tweet. Quei tweet, mai resi pubblici, sono spariti dal quadro.

C’è speranza, c’è sempre, ma anche paura. Non si sa se sperare in un verdetto o meno. Secondo la sua legale, Hoda Nasrallah, l’udienza di oggi dovrebbe servire a presentare la memoria difensiva degli avvocati di Patrick, dopo aver finalmente ottenuto gli atti del processo il 28 settembre scorso: prima di allora non gli era stato consegnato nulla di quello che la procura avrebbe in mano, a Nasrallah erano state concesse solo un paio d’ore per visionare il fascicolo in fretta.

E POI SI VEDRÀ: i processi di fronte a tribunali della sicurezza dello Stato, deputati a decidere di casi che rientrano nelle fattispecie di reato previste dalla legislazione d’emergenza (ovvero quelli più utilizzati contro attivisti e società civile) sono molto più brevi degli altri. Poche settimane, al massimo pochi mesi.

Oggi si potrebbe dunque assistere a un ulteriore rinvio oppure a una sentenza definitiva. Perché questi processi non prevedono appello. «Solo la grazia del presidente della Repubblica egiziana – spiega Noury alla Nuvola, nell’evento di domenica a Più libri più liberi dedicato a Patrick Zaki – I legali la chiederanno in caso di condanna. In quel caso, nella richiesta di grazia sotto la loro firma dovrebbe esserci anche quella di Mario Draghi».

L’Italia – i cui rappresentanti saranno oggi in aula a monitorare l’udienza insieme a diplomatici di altri Paesi – torna spesso nel dialogo di domenica, che ha coinvolto Mohamed Hazem Abbas, tra i migliori amici di Patrick e anima della campagna per la sua liberazione: «Il governo italiano non sta facendo molto, a differenza del parlamento che chiede di riconoscergli la cittadinanza – dice Mohamed – Se fossero sulla stessa linea, la pressione potrebbe essere sufficiente a liberarlo visto i legami tra Italia ed Egitto. Europa e Stati Uniti hanno i mezzi per migliorare le condizioni degli egiziani».

Sono pessime, fuori e dentro dal carcere. Fuori la povertà è in costante aumento, mentre repressione strutturale e leggi liberticide «hanno spazzato via l’intera società civile», aggiunge Noury. Ong, sindacati e media indipendenti, attivisti della comunità Lgbtqi+, artisti: «Non c’è settore che non sia stato toccato. Per questo Patrick è una storia egiziana».

COME ALTRI 60MILA prigionieri politici stimati, ma potrebbero essere molti di più, vista la costruzione in corso di altre mega prigioni, dopo le decine già aperte dal presidente al-Sisi: «Abbiamo saputo che le sue condizioni fisiche e psicologiche sono peggiorate – Mohamed risponde così a una nostra domanda – Da più di 650 giorni dorme a terra, ha problemi alla schiena e alle ginocchia. In passato è stato picchiato dalle guardie carcerarie». Non ha accesso a prodotti igienici e sanitari, vive da quasi due anni in una cella piccola, sporca e senza aerazione. «Ci siamo conosciuti all’Università tedesca del Cairo – aggiunge nell’incontro pubblico – Siamo stati in piazza Tahrir insieme nel 2011».

«È UN AMICO e un compagno. La vera ragione della sua prigionia sono i suoi ultimi dieci anni di attivismo». Che continua comunque a portare avanti, anche dietro le sbarre. Lo dicono le parole consegnate alla famiglia quando ha saputo che all’Eur si sarebbe svolta un’iniziativa su di lui: «Ha mandato due messaggi – dice Mohamed – Il primo: non dimenticatevi di me e dei 60 mila prigionieri egiziani. Il secondo: leggete il libro di Alaa Abd el-Fattah».

Il blogger e pensatore egiziano è in carcere, come Patrick. E come Patrick è detenuto a Tora. La sua udienza si terrà il prossimo 20 dicembre, insieme a lui alla sbarra anche il suo avvocato Mohamed al-Baqer (arrestato in un palazzo di giustizia proprio mentre lo difendeva) e il blogger Mohamed «Oxygen» Ibrahim, tutti accusati di diffusione di notizie false e in detenzione preventiva dal settembre 2019.

A ROMA DALL’EGITTO, nell’attesa sfibrante dell’udienza, arriva anche la voce di Marise, la sorella di Patrick: «Ha sempre avuto il coraggio di difendere i diritti degli altri anche a rischio della propria libertà. Ora tocca a voi battervi per lui».