Il giorno dopo l’annuncio del premier Conte sulla divisione dell’Italia in tre fasce di rischio Covid, la polemica tra governo e regioni non si placa.
Il fronte più duro è quello delle zone rosse e arancioni, e cioè le aree con le restrizioni più forti.

Il governatore pro tempore della Calabria Nino Spirlì annuncia che farà ricorso contro l’ordinanza del ministro della Salute Speranza che chiude la sua regione. Ieri sera un migliaio di persone in piazza a Cosenza, i manifestanti hanno bloccato il casello dell’autostrada, tensione con le forze dell’ordine. «Questa regione non merita un isolamento che rischia di esserle fatale», attacca il leghista Spirlì. «I dati del contagio non giustificano alcun lockdown».

FURIOSO ANCHE IL SICILIANO Nello Musemeci: «Sembra di essere su “Scherzi a parte”, una decisione scriteriata. Non protesto, la mia è amarezza: questa decisione affrettata incoraggia chi vuole andare in piazza». Musumeci, nonostante il pressing di Forza Italia, almeno per ora non annuncia alcun ricorso al Tar.

E neppure il lombardo Attilio Fontana, che invita i suoi concittadini a «tenere duro ancora per un po’» e promette impegno per i rimborsi agli imprenditori danneggiati dal nuovo lockdown. Quanto alla zona rossa, spiega che «solo tra due settimane potremo valutare col governo se allentare la chiusura in alcune province lombarde, prima di allora non è possibile».

Come già era successo mercoledì, a botta calda, se le zone rosse protestano per il giro di vite, in Campania Vincenzo De Luca, oltre a tenere chiuse tutte le scuole, preme sui sindaci per chiudere i centri storici e i lungomare nei fine settimana, per evitare assembramenti durante il passeggio. «Le decisioni del governo sulla divisione in zone hanno creato problemi del tutto prevedibili», attacca De Luca. «Sarebbe fuori luogo ogni atteggiamento di autoconsolazione e di rilassamento. La situazione è pesante».

MATTEO SALVINI, che da giorni preme su Fontana per evitare la chiusura della Lombardia, è sarcastico: «Le nuove norme sembrano la lotteria di Capodanno, non ci rassegniamo a stare un mese in casa. Per Conte Campania zona gialla? Ccà nisciuno è fessò». «Come si permette? Chieda subito scusa ai campani», intima Clemente Mastella.

Mentre il leghista Zaia, dal Veneto zona gialla, resta molto prudente: «L’area gialla, come i semafori, dura poco e poi c’è l’arancione e il rosso. E, non è un gioco a premi». Tradotto: «No all’entusiasmo oltre misura: non siamo i primi della classe a discapito degli ultimi. Tra una settimana potremmo parlare di migliaia di ricoveri».

Contro i governatori ribelli si schiera il M5S: «I 21 parametri sono dati oggettivi, non sono scelte arbitrarie prese per simpatia o antipatia. Prima di attaccare il governo i presidenti pensino a ciò che non hanno fatto nonostante avessero i fondi».

IN QUESTO CAOS, Speranza tenta di richiamare tutti all’ordine: «Le regioni alimentano i dati con cui la cabina di regia effettua il monitoraggio dal mese di maggio. Nella cabina ci sono tre rappresentanti indicati dalle regioni. E’ surreale che ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati che riguardano i propri territori. Serve unità e responsabilità. Non polemiche inutili».

Prova a dargli una mano il collega Francesco Boccia, ministro per gli affari regionali: «Speranza non è solo, sotto la sua firma c’è quella di tutto il governo. I dati non possono essere utilizzati per stucchevoli strumentalizzazioni». «Il Paese non può permettersi il lusso di dividersi», rincara Boccia, che ieri ha partecipato alla conferenza stato-regioni con alcuni governatori. E ha ricordato ai ribelli: «Da mesi ci siamo dati un metodo di lavoro condividendo sempre informazioni trasparenti. Sapevamo che convivere col virus significa allentare e restringere in relazione alla tenuta delle reti sanitarie e dal livello del contagio».

NESSUNO DEI PRESIDENTI presenti avrebbe obiettato, a quanto si apprende. Neppure Spirlì, che intanto lanciava anatemi via agenzia. Anche nella riunione precedente con i soli governatori, presieduta da Stefano Bonaccini, non è emerso un clima di rivolta. Come se la polemica corresse molto più sui media che non nelle sedi proprie.