Non dobbiamo mollare adesso», «Attenzione ai facili ottimismi, che possono vanificare gli sforzi e i grandi sacrifici che la stragrande maggioranza degli italiani sta compiendo». Il ministro Roberto Speranza svolge le sue due informative sull’emergenza coronavirus, la mattina al senato e il pomeriggio alla camera, con lo stile «sobrio» che anche le opposizioni gli riconoscono. Il titolare della sanità è l’unico esponente del governo che, nel tunnel dell’emergenza, è riuscito a evitare polemiche personali, scivoloni e gaffe. Nonostante il macigno che gli è piombato sulle spalle, o forse proprio per quello. Senza sbandierarlo, fin qui ha fatto una scelta che è l’esatto contrario di Palazzo Chigi: ha mantenuto un profilo basso, ridotto al minimo gli annunci precoci dei provvedimenti e le apparizioni in tv. E in quelle che si è concesso, è stato ben attento a sorvegliare i toni.

Ma ieri nelle aule non rinuncia a difendere l’operato dell’esecutivo. Racconta che il governo era già al lavoro sulle simulazioni di quella che chiama «la tempesta» – la citazione è di Papa Francesco – prima dell’esplosione del focolaio di Codogno. Elenca la dura contabilità dell’emergenza sanitaria: in un mese sono aumentate del 75 per cento le terapie intensive, triplicati i posti letto, aumentati del 405 per cento quelli di malattie infettive e pneumologia. A un mondo intero, anche e soprattutto di medici, che chiede di allargare l’uso dei tamponi, giura che la salute degli operatori sanitari è una priorità ma non concede più del loro «uso intelligente». Mette in guardia da chi annuncia cure miracolose. Sulla penosissima assenza di mascherine nel paese, informa che il commissario Domenico Arcuri ha concluso un contratto per «300 milioni» di presìdi e che l’Italia sta implementando la produzione «per essere autosufficienti».

Al polverone sollevato sulle riaperture, soprattutto dall’interno della maggioranza da Italia viva, risponde pacatamente che la stretta del distanziamento sociale resterà in vigore almeno fino al 13 aprile. Poi l’allentamento sarà «graduale» ma non arriverà prima dell’ok del comitato scientifico. «Avremo tempo e modo di valutare ogni atto e ogni conseguenza», ma intanto promette che non torneranno più i tempi dei tagli alla sanità. Il ministro pesa ogni parola per non mettere legna al fuoco dello scontro. Mentre parla al senato, a Palazzo Chigi maggioranza e opposizione si siedono per la prima volta a un tavolo per discutere dell’emergenza e del decreto di aprile.

Nelle aule però la missione di pace per ora è una mission impossible. A parole la disponibilità di collaborazione arriva da tutte le forze, ma per le opposizioni è solo la premessa retorica per i colpi successivi. E il muro di serietà che Speranza prova ad alzare, non basta a respingere le accuse di Forza italia contro la lentezza di riflessi del governo. La disparità dell’uso dei tamponi preoccupa – giustamente – tutti: dalla senatrice Emma Bonino, che li chiede anche per gli asintomatici, fino al deputato Nico Stumpo, dello stesso partito del ministro («Serve una modalità del loro uso, non 21»).

La Lega sceglie non a caso di inviare fra i banchi le seconde file, ma non rinuncia ad accendere le polveri. La senatrice Sonia Fregolent accusa il governo di non aver seguito la linea dei «governatori»: «Non si pensi di prendere al volo l’occasione per rinnovare una politica che soffochi ogni spiraglio di autonomia». È baruffa anche sull’ultima circolare del Viminale che apre alla possibilità di una passeggiata per i minori, contestata dalle regioni del Nord. I 5stelle rispondono attaccando le plurime giravolte di Matteo Salvini sul tema delle chiusure delle fabbriche. E suoi i «governatori» leghisti.

Alla camera il vicepresidente Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia, offre collaborazione a condizione che il governo riconosca i propri errori. Sorvola sul nordismo degli alleati: «Non è il momento per fare un ridicolo scontro tra Stato e regioni» e se la prende con l’Europa: «A che serve la cessione di sovranità se poi di fronte alla guerra si scappa?». Nei giorni scorsi ha fatto discutere un suo filmato postato sui social in cui toglieva la bandiera Ue dal suo ufficio alla camera. Anche Renzi nel 2016 aveva fatto un gesto simile, fra gli applausi dei nazionalisti: ed era premier.

Eppure il tentativo di affondo sul governo arriva al senato dalla maggioranza, e proprio da Renzi. Difende la sua proposta di «riaprire presto le aziende» (nella prima versione ha chiesto prima di Pasqua, ma era un’idea fuori dalla realtà ispirata da Confindustria). Assicura sostegno all’esecutivo ma prova a lanciare un petardo a scoppio ritardato, la proposta di una commissione d’inchiesta sugli errori della gestione dell’emergenza: «Se non si fa una commissione parlamentare quando ci sono 12 mila morti allora non si fa più». Dalla maggioranza nessuno raccoglie, giusto Vasco Errani la boccia in un inciso. E la proposta cade nel vuoto anche nei banchi dell’opposizione.