Che la sanità lombarda dovesse fare il tagliando nel 2020 era noto. La riforma «sperimentale» della sanità varata nel 2015 dall’allora governatore presidente regionale Roberto Maroni prevedeva infatti una verifica dopo un quinquennio per individuare eventuali correttivi. Quel che Maroni non poteva prevedere è che l’esame sarebbe arrivato in piena pandemia, con il sistema sanitario lombardo messo in ginocchio da un virus. 25 mila morti solo nella regione non potevano non pesare sul risultato.

La valutazione è arrivata il 16 dicembre, sotto forma di un’analisi di 73 pagine scritte da un nucleo di esperti dell’Agenzia Nazionale per il Servizi Territoriali Regionali (Agenas) e dagli economisti della Scuola Superiore «S. Anna» di Pisa su mandato del ministro della salute Speranza. Oltre ad un’approfondita indagine sui pregi e difetti del sistema sanitario lombardo, il documento contiene anche i compiti a casa: 7 «prescrizioni» necessarie da attuare nel giro di 120 giorni, più altrettante «indicazioni» migliorative opzionali.

L’analisi rileva lo squilibrio tra sanità ospedaliera e medicina territoriale. «L’assenza di un solido raccordo organizzativo tra ospedale e territorio comporta fenomeni di inappropriatezza, ritardi ed errori nel percorso di presa in carico, soprattutto dei pazienti più fragili», scrivono gli esperti. La colpa è di un sistema gestionale frammentato, in cui le attività di programmazione sono affidate a 8 Agenzie di Tutela della Salute: poche e con un territorio di riferimento troppo ampio per intercettare i bisogni reali dei cittadini, ma troppo deboli per «ricondurre l’offerta privata ad una maggiore funzionalità rispetto alla programmazione regionale, finalizzandola a soddisfare il fabbisogno di assistenza». «L’attuale sistema di finanziamento – scrive ancora il rapporto – privilegia l’attività erogativa di tipo “ospedaliero” rispetto all’attività “territoriale” ed è principalmente orientato al monitoraggio “quantitativo”, slegato dalla qualità delle prestazioni erogate». In altre parole, i soldi prendono preferibilmente la strada degli ospedali privati, dove è possibile impostare un’attività imprenditoriale basata sulla vendita di prestazioni sanitarie a prezzo di mercato.
Anche se su 73 pagine solo una è dedicata al Covid-19, l’impronta lasciata dalla pandemia sul sistema sanitario lombardo è ben visibile nelle prescrizioni di Speranza. È ancora vivo il ricordo dei pazienti lasciati morire a casa o nelle Rsa senza un tampone e dei medici di base sprovvisti di protezioni e impotenti. La prossima riforma, dunque, dovrà obbligatoriamente affidare i dipartimenti di prevenzione e i distretti sanitari, due pilastri della sanità territoriale, alle Aziende Socio-Sanitarie Territoriali (Asst). A cui dovranno essere restituite le funzioni «di pianificazione e di programmazione regionali con le connesse attività di programmazione ed organizzazione dei servizi a livello locale, sulla base della popolazione di riferimento». Tra gli obiettivi indicati dagli esperti c’è «la necessità di porre la prevenzione delle malattie infettive in capo ad un unico soggetto di governance ed erogazione».

Tra le indicazioni opzionali, il ministero suggerisce di affidare la negoziazione con gli operatori sanitari privati ad un’unica Agenzia regionale, che abbia dunque un più forte potere contrattuale nei confronti degli imprenditori del settore. E di «ridefinire le dimensioni delle ASST al fine di renderle maggiormente funzionali all’organizzazione dei servizi sanitari della popolazione di riferimento ed efficienti nell’erogazione delle prestazioni ai cittadini»: la riforma del 2015, infatti, aveva ridotto le aziende sanitarie locali a sole 27 Asst con quasi mezzo milione di assistiti ciascuna.

«Una specie di commissariamento e una sconfitta per la giunta proprio nel momento in cui chiede l’autonomia differenziata» è la valutazione di Angelo Barbato del Forum per il Diritto alla Salute, da sempre critico con il modello Formigoni-Maroni. «Le prescrizioni vanno nella giusta direzione ma non sconvolgono l’impianto della riforma del 2015. Però aprono una breccia, e nei prossimi 120 giorni si apre uno spazio per una battaglia politica per andare anche oltre e ricostruire il servizio sanitario lombardo».