il manifesto del 4 maggio 1990

Radio Radicale riprenderà le pratiche di liquidazione, già annunciate da due mesi ma prorogate fino al 30 aprile, in conseguenza della gravissima situazione economica dell’emittente.

Con una lettera inviata ieri a Sergio Stanzani, presidente del Partito Radicale, il presidente del consiglio Giulio Andreotti ha comunicato laconicamente che «non è stato possibile raccogliere le necessario adesioni per un provvedimento d’urgenza relativo ad un contributo straordinario in favore di Radio Radicale, anche per il momento di impegno fuori Roma di molti dirigenti politici».

Viene archiviata così nei fatti la richiesta fatta dall’emittente nel marzo scorso, di un finanziamento una tantum di venti miliardi «per il suo servizio di pubblica utilità». Nei fatti, ma non in assoluto, dal momento che la proposta di legge, firmata da tutti i gruppi parlamentari escluso quello del Psi, viene ora rimandata al normale iter parlamentare, «dove l’esame della materia – conclude la lettera del presidente del Consìglio – può farsi anche con rapidità, alla ripresa di attività del parlamento».

L’opinione generale, tuttavia, è che la legge finirà per perdersi nei meandri dei provvedimenti sull’editoria con conseguenze facilmente immaginabili. Per questo, il venir meno dei presupposti di urgenza del provvedimento «è un fatto di estrema gravita», come si legge in un comunicato della redazione. «Non si è voluto tener conto di un fatto ormai noto a tutti, cittadini, parlamentari, segretari di partito – continua il comunicato – le attuali condizioni economiche della radio non consentono più né gli interventi indispensabili alla tutela della rete di trasmissioni, né il mantenimento in funzione dell’archivio di radio Radicale con la conseguente perdita del suo enorme valore storico e politico».

In questi giorni, Radio Radicale sta seguendo la campagna elettorale, soprattuto quella antiproibizionista, trasmettendo fili diretti, dibattiti e comizi.

Ma nessuno nasconde che la risposta di Andreotti e dell’intero parlamento, lascia l’emittente nell’assoluta incertezza. «Noi avevamo deciso comunque di aspettare la risposta di Andreotti – spiega Paolo Vìgevano, tesoriere radicale – Ora dobbiamo decidere cosa fare nel prossimo futuro, ma per il momento abbiamo riaperto la pratiche di liquidazione. Per quanto riguarda la prosecuzione della nostra attività, dobbiamo prevedere dei licenziamenti, ma non vogliamo per il momento danneggiare più di tanto le trasmissioni. Sospenderle vorrebbe dire rischiare di perdere la frequenza nella giungla dell’etere».

Ma se nei prossimi giorni risulterà più chiaro il futuro di Radio Radicale, oggi non possono non stupire profondamente le motivazioni portate dal presidente del consiglio nella sua lettera: dunque sono tutti «fuori Roma», impegnatissimi, quegli stessi parlamentari che nei mesi scorsi si erano dichiarati in favore della richiesta dell’emittente di garantire la prosecuzione del proprio servizio di «dirette dalle istituzioni», giudicato da gran parte degli stessi parlamentari importante e insostituibile. E sostenuto da un gran numero di semplici ascoltatori, che in questi giorni continuano a far pervenire all’emittente la loro solidarietà.

Non andrebbe dimenticata, infine, la assoluta contrarietà dei socialisti al provvedimento straordinario – secondo i quali lo stesso provvedimento doveva come minimo estendersi al Popolo e all’Avanti – che probabilmente deve aver pesato nella finale risposta negativa del presidente del Consiglio.

E certamente la decisione di Andreotti peserà anche sulle richieste simili a quella di Radio Radicale, fatte da altre emittenti locali, che per l’impegno prestato all’informazione in diretta da sedi istituzionali, avevano sollecitato analoghi interventi. In mancanza assoluta della legge promessa sulla radiofonia, e sull’ etere, ovviamente. Ma su eventuali «provvedimenti d’urgenza» per quest’ultima, sarebbe il caso di sorvolare.