Come offrire alternative di sopravvivenza a ex cacciatori di frodo, evitare le incursioni degli elefanti nei campi di mais, proteggere i superstiti gorilla di montagna, riscattare pangolini e far partecipare contadini africani poveri e i loro figli a una Global March a favore della vita selvatica? E’ quasi una quadratura del cerchio.
«Dal 2011 cerchiamo di coniugare la tutela della natura e degli animali selvatici con lo sviluppo di progetti per migliorare le condizioni di vita delle comunità umane locali è la nostra sfida» spiega Moses Arineitwe, coordinatore dell’organizzazione Nyamirambi-Rugando Conservation and Development (Cd), nella regione Kigezi in Uganda. Moses, che è stato anche guardaparco, lavora con sei gruppi di comunità locali nei villaggi vicini ai parchi nazionali Bwindi e Queen Elizabeth. La caccia è proibita nei 331 chilometri quadrati del parco Bwindi, dove vivono i gorilla di montagna dal dorso argentato, ma era ben presente il bracconaggio, per l’autoconsumo e la vendita. Così anche i gorilla di montagna cadevano vittime delle trappole a laccio.

Per gli ex bracconieri, la sensibilizzazione è andata di pari passo con la crescita di progetti alternativi: in particolare, l’apicoltura, orti e vivai di piante autoctone. Hanno piantato quasi 2.000 alberi, costruito stagni per l’allevamento di tilapia, ricostruito una scuola primaria e la casa di una vedova, abbattute dall’alluvione, realizzato un piccolo atelier di prodotti artigianali femminili che aiutano a pagare le spese scolastiche dei bambini.

Ed evitando la predazione dei cacciatori ai danni di elefanti e altri animali, la piccola organizzazione «Cd» paradossalmente aiuta anche i villaggi intorno ai parchi, i cui raccolti – mais, fagioli, banane, patate dolci – sono messi in pericolo proprio dagli elefanti, oltre che dalle alee climatiche. Le api fanno da deterrenti: alveari in cassetta posti in posizione elevata tra gli alberi e collegati tra loro da corde in modo che al passaggio degli elefanti le api entrino in azione facendoli scappare. L’effetto collaterale è la produzione di miele per l’ alimentazione dei bambini.

«Queste azioni sono finanziate da un gruppo di sostenitori internazionali interessati al tempo stesso alla conservazione e allo sviluppo, che non sono necessariamente in contrasto» spiega Francesco Mantero, ex direttore della Riserva laziale Monterano che per anni ha sostenuto progetti a favore dei guardaparco impegnati nel Virunga contro la caccia di frodo agli ultimi gorilla di montagna rimasti vivi.
«Cd» chiede, oltre a contributi finanziari (tutti possono contribuire: https://www.gofundme.com/ArineitweMoses) anche idee per lo sviluppo del solare e dell’eolico. I villaggi non sono serviti dall’elettricità e la sera i bambini studiano alla luce delle lampade a kerosene. L’area è tutto fuorché prospera. Una lunga siccità ha peggiorato la situazione nutrizionale.

Eppure l’organizzazione di Moses coinvolge la popolazione anche nel soccorso e recupero di animali selvatici feriti: pangolini, uccelli, scimmie. E il 7 ottobre 2017, cinquecento persone hanno camminato insieme fra un villaggio e l’altro, nel quadro della marcia mondiale contro la mattanza di elefanti e rinoceronti, perché finiscano i commerci di avorio, di corno di rinoceronte, di squame di pangolini.