Ma cosa succede in città? Mentre il sistema dei controlli e protocolli di legalità sugli appalti Expo sta mostrando tutta la sua tragica inconsistenza, c’è invece una macchina che gira a pieno regime, anzi, che accelera pure: è quella degli sgomberi degli spazi sociali occupati. E così, dopo l’annuncio dello sgombero del Lambretta di alcune settimane fa, ora è arrivato a sorpresa anche quello relativo a Zam.

Insomma, a Milano c’è una vera e propria escalation, un uno-due capace di far vacillare chiunque. È una coincidenza? La pulizia in vista di Expo? Un complotto? Un ordine dall’alto? E da chi? Un sacco di domande e tutte importanti, anche perché stiamo parlando della città che tre anni fa scelse di voltare pagina. «Il vento è cambiato» si diceva e del cambiamento atteso faceva parte anche una nuova politica rispetto agli spazi, al riuso, alla socialità e un diverso rapporto con le esperienze di autogestione.

Certo, il clima è cambiato, non c’è più la politica dell’odio di De Corato, ma poi, appunto, come la mettiamo con gli sgomberi e con l’accelerata di queste settimane? Lasciamo perdere le teorie del complotto, che non hanno mai spiegato nulla. Zam e il Lambretta occupano spazi di due proprietari diversi e sono sotto sgombero con motivazioni formali differenti. Zam sta in una ex scuola di proprietà del Comune nel quartiere Ticinese ed è sotto sgombero a causa di una perizia tecnica che dice che l’ala inagibile e chiusa dello stabile renderebbe pericolosa anche la parte occupata. Un pericolo in realtà molto remoto: gli uffici comunali avevano detto la stessa cosa già un anno fa senza che accadesse nulla. Ma ora c’è una nuova perizia, sollecitata da un «comitato» vicino alla destra, che è finita sul tavolo del questore. Il Lambretta, invece, occupa delle ex case popolari nel quartiere Lambrate, che Regione e Aler tentano da anni di vendere a privati senza riuscirci. In questo caso non si capisce chi o che cosa abbia spinto sull’acceleratore, si sa soltanto che la decisione era stata presa dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. No, il problema non sono i complotti, il problema è la politica, anzi, il vuoto di politica, che fa sì che gli eventi seguano il loro corso, magari con l’aiutino di una perizia o di un capriccio.

E in questo senso è più che sintomatico che in ambedue i casi, gli unici a contattare gli occupanti per avvisarli degli imminenti sgomberi sia stata la questura. L’assenza della politica fa sì che siano le decisioni «tecniche» a dettare la linea, la mancanza di un indirizzo chiaro da parte del Comune consegna libertà di manovra a chi, magari stando nella stessa maggioranza, vorrebbe normalizzare anche Milano. Un Comune immobile e silente fa prevalere anche qui la tendenza nazionale che individua nella repressione dei movimenti antagonisti e del conflitto la risposta alla crisi sociale. C’è un solo modo per tentare di uscirne: il sindaco Pisapia deve prendere in mano il bandolo della matassa e aprire un confronto cittadino. Anche perché le aree vuote e abbandonate e gli spazi sociali occupati non sono un problema privato di qualcuno, ma una questione pubblica che riguarda tutta la città, anzi, che riguarda la stessa idea di città.

Insomma, occorre una scelta politica. Comunque sia, Zam e Lambretta dovranno affrontare giorni duri, forse vacilleranno, ma sicuramente non finiranno a tappeto, mMa hanno anche bisogno di non camminare da soli, che la parte più lungimirante della città si schieri al loro fianco.