Il triplice fischio del governo. Il destino del calcio italiano, fermo da settimane per la furia del Covid-19 pare segnato, dopo la striscia di polemiche e interessi di parte. Il ministro dello Sport, Vincenzo Spadafora, ieri ha spiegato che «il sentiero per la ripresa dei campionati è sempre più stretto», citando il caso della Francia che non tornerà in campo, spegnendo i progetti della Lega di A. L’ennesima proroga di una partita di ping pong, tra la politica che non decide e il pallone che si ostina a non pesare i passi del Virus, ritenendosi eccezione e non parte del sistema Italia.

Tra le carte in mano al ministro dello sport, oltre ai dati sui contagi in alcune regioni, anche le indiscrezioni, non smentite, sulla perdurante positività al Covid-19 dello juventino Paulo Dybala (quarto tampone in fila), con l’argentino ammalato da oltre un mese. La conferma dell’assenza di leggi scritte sul Covid-19, che potrebbe infettare non solo gli atleti ma soprattutto gli addetti (tanti) ai lavori del pallone.

Insomma, Spadafora mai come ieri è stato chiaro, a nome del governo, non a caso subito sostenuto dal viceministro della Salute, Sileri. Non si può riprendere il campionato, la salute viene prima, non ci sono certezze sull’evoluzione della pandemia, specie in fase 2. D’altronde, i segnali erano tutti da una parte, le squadre ancora non possono allenarsi assieme, forse il semaforo verde arriverà per il 18 maggio.

La Serie A chiude, così come è avvenuto in Olanda e Belgio, come avverrà in Francia, dove i calciatori si sono schierati, temendo di essere toccati dal Virus. Senza contare che anche in Premier League, il torneo più ricco d’Europa, in cui il peso dei diritti televisivi ceduti alle tv a pagamento nei bilanci dei club pesa parecchio, lo stop definitivo appare vicino. Mentre la Bundesliga (squadre in campo a gruppetti e in orari diversificati) potrebbe scontare il rialzo della curva dei contagi in Germania.

Una posizione collettiva che tutela i calciatori, forse troppo poco esposti, mai convinti realmente di tornare in campo, se non a determinate condizioni. Il passaggio decisivo: per ricominciare sarebbero necessari i tamponi con risultati immediati, i test sierologici, condizioni a rischio zero sia per gli allenamenti che per le partite, che anche a porte chiuse portano allo stadio centinaia di persone, tra atleti, tecnici, dirigenti, giornalisti e addetti ai lavori.

E a questo punto, dopo aver manifestato esplicitamente – la Lazio – o da dietro le quinte (Juventus, Napoli, Roma, tra le altre) sarà la stessa Lega di Serie A, come Sky in aperto contrasto con Spadafora (due giorni fa la richiesta al ministro di date definite per allenamenti e partite), e come la Figc che si è vista respingere il protocollo medico approntato per il rientro, a chiedere il fischio di chiusura al governo. Con un provvedimento che possa concedere una tregua finanziaria a un sistema che rappresenta la terza potenza industriale in Italia, con un giro d’affari da 5 miliardi e 1,5 miliardi di euro nelle casse dell’erario.

Una traccia scritta del governo annullerebbe (o quasi) il rischio di cause, ricorsi a tribunali regionali, nazionali, richieste di risarcimento danni. Insomma, un fermo al caos, per il sollievo dei vertici delle istituzioni del calcio, che non sanno come uscire dall’angolo, tra le pressanti esigenze sanitarie e i risvolti economici per il sistema pallone.

Per uscire dall’angolo sarebbe utile una retromarcia dell’Uefa, il massimo organismo del calcio europeo, che si ostina a tenere in piedi le fasi finali di Champions League ed Europa League, anche senza la conclusione dei tornei nazionali. Dunque, serve scegliere, con la consapevolezza che morti, la curva del contagio, le misure di distanziamento sociale siano di stretta attualità anche nei prossimi mesi. E che quindi il calcio dovrebbe rimandare a tempo indeterminato il suo ritorno.