Si chiama Heritage, eredità, il documentario di David Induni che racconta una passione degli svizzeri relativamente poco nota all’estero. Negli armadi di un popolo che da 700 non combatte una guerra ci sono un sacco di armi. La premessa è che la Svizzera è il terzo paese più armato al mondo. Un vero e proprio culto che affonda le radici nella storia con il patto del Grütli (il primo agosto 1291, considerata la data simbolo della fondazione della confederazione) e nella leggenda di Guglielmo Tell che avendo mancato di rispetto al tiranno, il bativo Gessler che agiva per conto degli Asburgo, per avere salva la vita fu costretto a lanciare un dardo per colpire la mela posta sulla testa di suo figlio.

Ma Tell si era tenuto una freccia di scorta che avrebbe usato contro il tiranno in caso d’errore. Per questo venne incarcerato, ma riuscì a fuggire e poco tempo dopo uccise Gessler. Non si sa come, partecipò anche alla battaglia di Morgarten dove il popolo in rivolta di alcuni cantoni sconfisse l’esercito degli Asburgo e da lì cominciò davvero a formarsi il nucleo della svizzera contemporanea con la progressiva adesione di altri cantoni.

Tempo fa sul muro di una casa di Locarno qualcuno aveva vergato una scritta «la Svizzera ha bisogno di un esercito come un pesce ha bisogno di una bicicletta», puro dadaismo che in fondo è nato a Zurigo. Ma non sono in molti a pensarla così. Anche perché da queste parti il servizio militare è tosto: introdotto nell’800, ora è obbligatorio per gli uomini, facoltativo per le donne, e gli abili arruolati devono fare ogni anno un aggiornamento dell’addestramento di tre settimane. E il fucile d’ordinanza viene poi custodito a casa dal «cittadino».

Sarà perché non combattevano, ma gli elvetici avevano spirito guerriero, per diversi secoli sono stati soldati mercenari al servizio di altri eserciti. Ora questo non è più possibile, con l’unica eccezione delle guardie svizzere vaticane. Tra raduni, rievocazioni, poligoni, svizzeri di ogni età dai bimbi ai più anziani si ritrovano a sparare felici contro sagome di carta. Con un entusiasmo degno di miglior causa, con un retrogusto da cosiddetto esercito popolare. Al punto che dopo avere mostrato raduni, incontri, competizioni e lasciato ampiamente parlare i cultori di questo sport nazionale, il regista cita una frase agghiacciante, mentre lo schermo è buio e si sentono degli spari, una scritta riferita a un conoscente dice «Questo è il rumore della libertà. Se in Svizzera non lo senti più vuol dire che sta succedendo qualcosa di brutto».

Giusto per ricordare come funziona questo uso disinvolto delle armi negli anni ’90, quando la Jugoslavia era in preda alla guerra fratricida, le armerie di Locarno esponevano in vetrina mitragliette in offerta, meno di un milione di lire. Solo per ingenui. Infatti alcuni carichi di armi di contrabbando vennero intercettati alla frontiera italiana con persone dirette in quella che stava diventando la ex Jugoslavia. Su una cosa però bisogna dare atto ai fanatici svizzeri delle armi, contrariamente ai loro equivalenti statunitensi la cronaca nera elvetica registra raramente episodi cruenti legati all’uso sconsiderato delle armi. Loro dicono che è proprio per questo, perché insegnano ai bimbi a rispettare e usare le armi considerandone l’uso come uno sport, trasversale perché accomuna tutti.

A noi continua a fare un’impressione sgradevole vedere un ragazzino o una ragazzina di dieci imbracciare un fucile mitragliatore. Accidenti, ma tra tanti valori della tradizione da preservare, non hanno trovato di meglio?