La strage stavolta è avvenuta a San Jose, a sud di San Francisco, il maggior centro urbano della Silicon Valley con i suoi business park pieni di startup tecnologici e giganti della gig economy.

Ma la patina hi-tech e progressista non è bastata ad isolare la regione dalla piaga dei mass shooting. Questa volta si è trattato di un impiegato dell’azienda ferrotranviaria locale che è entrato nel deposito ferroviario del VTA (Valley Transportation Authority).

Sam Cassidy di 57 anni, macchinista dell’azienda, sarebbe entrato negli uffici nella prima mattinata di ieri facendo fuoco su colleghi. I primi spari si sono sentiti poco dopo le 6:30 locali. Le vittime sarebbero almeno 9 e numerosi i feriti anche in condizioni critiche. La polizia ha confermato che anche l’attentatore è deceduto senza specificare le esatte circostanze. Prima di recarsi al deposito, Cassidy avrebbe dato fuoco alla propria abitazione da cui si sono sprigionate delle fiamme e dove sono giunti vigili del fuoco.

Senza ulteriori dati certi sul movente al momento della scrittura, sembrerebbe probabile l’ipotesi di un risentimento covato verso colleghi o il datore di lavoro. Le vittime apparterrebbero a una squadra di manutenzione e potrebbero essere state impegnate in una riunione sindacale prima del turno nel cantiere. Gli altri impiegati sono fuggiti nel panico e diretti dagli agenti giunti dal vicino commissariato dello sceriffo, in un vicino auditorium – ai giornalisti un testimone ha dichiarato: «Ha annientato un’intera squadra».

Sul luogo sono giunte anche squadre di artificieri in seguito a voci su possibili ordigni esplosivi che potrebbero essere stati collocati sul luogo. L’azienda ha sospeso il servizio per il resto della giornata. Quest’ultima tragica vicenda di cronaca è destinata a riproporre la questione della diffusione endemica delle armi da fuoco negli Stati uniti e metter pressione sull’amministrazione Biden che ha già dichiarato l’intento di incrementare i controlli sulle armi. Ma nonostante le continue stragi la questione rimane bloccata, una paralisi politica assicurata dalla agguerrita minoranza finanziata dalle lobby come la Nra e con la complicità dei politici repubblicani che contano sul valore «emozionale» del «diritto costituzionale» al porto d’armi per attivare segmenti integralisti dell’elettorato.

Dopo la strage Sandy Hook che nove anni fa è costata la vita a 26 persone, compresi 20 bambini di una scuola elementare, aveva galvanizzato il movimento contro le armi da fuoco. Un’altra strage – nel liceo di Parkland, in Florida nel 2018 aveva coalizzato un movimento di giovani ugualmente mobilitati contro la cultura delle armi da fuoco. I sondaggi indicano che la maggioranza degli Americani è ugualmente a favore di maggiori controlli, manca però la volontà politica per istituire cambiamenti.

Come sempre nella infinita litania di stragi americane, rimane, sopra a tutto, l’angoscia dei famigliari delle vittime e il dolore sordo di una nazione che non riesce a porre rimedio alla pandemia di violenza che la sconquassa.