La situazione spagnola continua a destar preoccupazione fra gli esperti. Ieri l’esecutivo ha reso noto che da venerdì sono stati comunicati ben 16mila nuovi casi, soprattutto nella comunità di Madrid (con circa 5000 casi cumulativi), in Catalogna (2700), Aragona e Andalusia (1500 casi ciascuna).

Le prime tre sono zone che già da qualche settimana registrano i principali focolai di contagio. I ricoverati ieri erano 4100, dei quali 1000 nell’ultima settimana. Con i suoi 360mila casi totali dall’inizio della pandemia, secondo la Oms la Spagna occupa l’undicesimo posto al mondo per numero di casi.
Proprio questo fine settimana il governo era riuscito per la prima volta da quando le competenze sono tornate nelle mani delle comunità autonome a coordinare una batteria di misure da adottare in tutti i territori: le più importanti delle quali sono la limitazione degli orari di bar e pub notturni (fino all’1 di notte, con ultime ammissioni di clienti alle 12) e la chiusura delle discoteche (già in vigore in molte comunità, come per esempio la Catalogna e Aragona), e la più discussa è il divieto di fumare per strada (se ci sono persone a meno di due metri di distanza).

Inoltre il governo ha accordato con le comunità di fare test in massa in tutti i posti dove vengano identificati contagi (cosa che per esempio sta già facendo la Catalogna, che da quando il Govern di Barcellona ha nominato l’epidemiologo Josep Maria Argimon a capo della Salute pubblica ha migliorato sensibilmente la gestione dell’emergenza: la situazione si è stabilizzata e lentamente la curva dei contagi si sta appiattendo). In Euskadi (Paesi baschi) da ieri è in vigore un nuovo stato di emergenza «regionale», ma l’esecutivo di Vitoria ha per ora escluso che decreterà nuovi lockdown generalizzati.

La principale polemica agostana è quella per la manifestazione di domenica a Madrid: un migliaio di negazionisti e contrari alle misure di sicurezza (soprattutto l’obbligo di indossare le mascherine) si è riunito sfidando qualsiasi norma di salute pubblica per protestare contro il governo, spinto da gente come l’ex cantante Miguel Bosé. Il delegato del governo (una specie di prefetto) a Madrid ieri si stracciava le vesti spiegando che si era trattata di una manifestazione «inaccettabile» e «gravissima»: peccato che l’aveva autorizzata lui stesso (ieri si scusava dicendo che per iscritto si erano impegnati a rispettare le misure di sicurezza, quando su tutte le reti sociali era chiarissimo che erano proprio le misure di sicurezza al centro della loro protesta). Ora promette che verranno presi provvedimenti severi.

Nella conferenza stampa di ieri il direttore del Centro di coordinazione delle emergenze sanitarie Fernando Simón, volto ormai famigliare, diceva che l’obiettivo è quello di arrivare a settembre col minor numero di casi possibile: «il problema di settembre è che si uniranno persone che provengono da zone con differente situazione epidemiologica. Dobbiamo minimizzare il rischio prima di questo mix esplosivo», ha detto.