Nonostante la Banca di Spagna dia per conclusa la recessione e inviti a guardare al futuro, in alcuni settori del paese si insiste con i tagli. La scuola, ad esempio, sta per essere travolta da una riforma educativa (l’ottava dal 70, una ogni 5,3 anni), che il ministro dell’Istruzione José Ignacio Wert ha imposto contro tutto e tutti: settore educativo, sindacati, ma anche tutte le forze politiche si sono opposte. Solo il Pp – che però ha la maggioranza assoluta – ha votato a favore della legge, che è già passata alla camera e dovrebbe essere approvata in senato entro dicembre.

La riforma porterà nuovi tagli e lascerà una forte impronta sul sistema scolastico: «È una riforma franchista», ha commentato Ana García, segretaria generale del Sindicato de estudiantes, che martedì ha convocato tre giorni di proteste che hanno svuotato le aule dei licei e delle università di tutto il paese. Oggi si uniranno anche professori e genitori, per il secondo sciopero di tutto il settore scolastico del governo di Rajoy. Di certo la riforma – la «controriforma» si legge sui cartelli di alcuni studenti – ha forti connotazioni ideologiche: la religione ritorna a essere oggetto di valutazione, mentre l’educazione civica (introdotta dal governo Zapatero e criticata in varie occasioni dalla Chiesa) viene ridotta e rivista nei contenuti. L’autonomia dei centri educativi ne esce pesantemente limitata e con essa la possibilità di scegliere la lingua veicolare d’insegnamento, uno dei punti più controversi della legge Wert che si scontra con i sentimenti nazionalisti di regioni come Catalogna e Paesi baschi.

Il segno della riforma emerge anche dalle misure più «tecniche» adottate, secondo il ministro, con la finalità di limitare l’abbandono scolastico che in Spagna duplica la media europea e si attesta intorno al 25%. Ritorneranno le revalidas, esami di fine ciclo vincolanti per l’assegnazione del titolo di studio e saranno introdotti percorsi di studio differenziati a seconda del rendimento scolastico degli alunni: gli studenti più bravi potranno accedere alla formazione pre-universitaria, mentre gli altri saranno indirizzati verso la scuola professionale. «Invece di investire su professori di sostegno e programmi di rinforzo – fa notare la segretaria del sindacato degli studenti – la riforma introduce una selezione darwiniana che penalizza proprio chi avrebbe più bisogno di aiuto e di formazione». Ovvero, molto spesso, chi non ha in famiglia i mezzi per raggiungere un buon profitto scolastico, accedere, quindi, all’università e, in prospettiva, a un lavoro qualificato. «Per questo la legge Wert è una riforma classista, che blocca la mobilità sociale e impedisce alle classi meno abbienti di ottenere un’istruzione superiore», spiega García.

In effetti, per quanto riguarda i costi dell’istruzione, la nuova normativa del Pp fa segnare livelli inediti. Le tasse universitarie sono aumentate tra il 60 e il 130% e le borse di studio ridotte in numero e consistenza: «Il diritto allo studio si sta trasformando in un lusso» e, di certo, non è questa la migliore strategia per spezzare la spirale della disoccupazione e dell’abbandono scolastico. «Ci sono ragioni più che sufficienti perché la scuola, domani (oggi, ndr), scenda in piazza. Ma la questione è così rilevante – conclude Ana García – che ormai non riguarda più solo il settore educativo, bensì la società intera: sarebbe opportuno che i sindacati maggioritari facciano sponda e convochino uno sciopero generale».