La politica spagnola è improvvisamente entrata in fibrillazione. La poltrona di Mariano Rajoy ha iniziato a ballare e, per la prima volta dall’inizio della legislatura nel 2016, il Partito popolare rischia davvero di essere scalzato dal potere raggiunto nel 2011.

IL PARADOSSO è che, fino a tre giorni fa, Rajoy appariva come il vincitore senza rivali di tutti i tavoli da gioco: da quello catalano, con il 155 ancora in marcia e un Quim Torra a cui Madrid impedisce di nominare i ministri, a quello strettamente politico, dopo l’approvazione da parte del Congresso dei deputati della finanziaria 2018, in cui era riuscito a far convergere gli interessi di partiti antagonisti come i nazionalisti baschi e Ciudadanos.
Ma l’insperata mazzata è arrivata invece giovedì dai giudici. L’attesa sentenza per uno dei casi di corruzione più importanti in cui è coinvolto il partito al potere, il cosiddetto «Caso Gürtel», è finito (in primo grado) con la condanna di 27 ex dirigenti del Pp di primo piano a pesanti pene carcerarie (351 anni in totale), una condanna allo stesso partito per essersi lucrato coi proventi della «cassa B» (fondi neri) e persino una lapidaria frase nella sentenza in cui i tre i giudici mettono in dubbio la testimonianza dello stesso Rajoy – che fu costretto a comparire come teste durante il giudizio.

IL CAPO DEL GOVERNO, con altri responsabili popolari, aveva negato che potesse esistere una «cassa B». «Il pubblico ministero contesta la veracità di queste testimonianze indicando – argomento che condivide questo tribunale – che si mette in dubbio la credibilità di questi testimoni, la cui testimonianza non sembra sufficientemente verosimile per controbattere le schiaccianti prove esistenti sull’esistenza della cassa B», scrivono i giudici.

IL CASO ERA STATO SUDDIVISO in 10 parti, di cui solo tre sono arrivate a giudizio. Fra i condannati di questo terzo processo, il più importante finora, l’ex tesoriere del partito, Luís Bárcenas (33 anni), sua moglie (15 anni), l’imprenditore che coordinava la rete di corruzione e che dà il nome al processo, Francisco Correa («Cintura», in tedesco «Gürtel»), condannato a 51 anni. La sentenza, arrivata dopo 9 anni, afferma che la rete costituiva «un autentico ed efficace sistema di corruzione istituzionale attraverso meccanismi di manipolazione degli appalti pubblici a livello centrale, autonomico e locale e attraverso la stretta e continua relazione con militanti influenti del Pp»: il certificato che il Pp ha lucrato per anni con le tangenti, arrivando a finanziare intere campagne elettorali. Ancora non c’è la sentenza per il processo relativo alle «carte di Bárcenas», in cui l’ex tesoriere appuntava le tangenti ricevute e come venivano distribuiti i soldi ai principali dirigenti del partito, fra cui lo stesso Rajoy.

UN’ALTRA PROCURA – lo stesso giovedì – ha ordinato l’arresto di un altro peso massimo del partito, il potente ex presidente valenziano ed ex ministro Eduardo Zaplana. Insomma, questa potrebbe essere la prima esplosione di una serie di bombe giudiziarie che stanno per cadere sul governo. Nessuno si aspettava una condanna tanto dura, sia perché Bárcenas sembrava stesse negoziando con il Pp il silenzio a cambio di condanne più leggere, sia dopo quello successo all’ex giudice Baltasar Garzón, che aveva iniziato le indagini e che il Pp riuscì a far inabilitare nel 2011 per 11 anni (e che ha già fatto sapere che dopo la sentenza che avalla il suo operato ricorrerà quella decisione).

LA DUREZZA DELLA SENTENZA ha sparigliato le carte politiche. Ciudadanos contava di poter logorare i popolari, pur mantenendoli al potere, per consolidare l’ascesa che i sondaggi gli attribuiscono. E i socialisti, bloccati nel rinfaccio a Podemos per il mancato appoggio di 3 anni fa, e appiattiti sulle posizioni popolari nella gestione della crisi catalana, sembravano incapaci di iniziativa politica. Invece ieri il Psoe ha presentato la sua prima mozione di sfiducia contro il governo Rajoy; Unidos Podemos aveva già detto che avrebbe appoggiato senza condizioni.

L’OBIETTIVO DI SÁNCHEZ è un governo transitorio e monocolore socialista per «recuperare la normalità politica e istituzionale, rigenerare la vita democratica, e mettere in marcia l’agenda sociale». Albert Rivera, Ciudadanos, spiazzato dalla gravità della situazione, ha detto che voterà «No» alla sfiducia, ma chiede a Rajoy lo scioglimento delle camere. I nazionalisti catalani hanno colto la palla al balzo e hanno aperto alla possibilità di appoggiare la mozione di Sánchez. Se lo faranno anche i nazionalisti baschi, ancora una volta chiave di volta della politica spagnola coi loro 5 seggi, Rajoy è spacciato. L’unica strada per evitare il cambio di cavallo per il presidente spagnolo sarebbe quella di convocare le elezioni. Ma, costituzione alla mano, ormai lo può fare solo se il Psoe ritira la mozione.