L’ex re Juan Carlos abbandona la Spagna. La decisione di abbandonare la Zarzuela, sede della corona spagnola, era nell’aria da qualche settimana ma ieri sera è stata resa pubblica con una lettera firmata dall’ex monarca e diretta a suo figlio Felipe: di fronte a “certi accadimenti del passato della mia vita privata” che stanno generando una certa “ripercussione pubblica” e naturalmente “con lo stesso spirito di servizio che ispirò il mio regno”, l’ex re manifesta al figlio “la più assoluta disponibilità per contribuire a semplificare l’esercizio delle tue funzioni”.

In sostanza, Juan Carlos si toglie dai piedi, come gli chiedeva non solo l’attuale capo dello stato, in una posizione sempre più scomoda per i loschi affari mantenuti da suo padre durante il suo lungo regno, ma anche sempre più voci istituzionali. Ma non è chiaro se abbandonare il paese con varie inchieste in corso in Spagna e in Svizzera sui soldi che il monarca aveva accumulato in conti segreti in paradisi fiscali e in banche elvetiche sia il modo migliore per allontanare le ombre sul giovane regnante.

Anche se fino al 2014 la Costituzione spagnola proteggeva l’ex capo di stato con lo status di “inviolabile”, il criterio dell’accusa del Tribunal supremo è che questo scudo legale terminò il giorno in cui lasciò l’incarico, e pertanto sta attualmente valutando se, dopo quella data, il Borbone commise qualche delitto fiscale relativo ai fondi ricevuti dai sauditi per “ringraziarlo” per la sua intermediazione sull’abbassamento dei prezzi per la costruzione del treno d’alta velocità AVE alla Mecca. Anche in Svizzera, dove i magistrati non sono obbligati a inibirsi dalle indagini, si sta studiando l’origine della sua fortuna. La settimana scorsa è stato riaperto anche un altro caso, che era stato archiviato per mancanza di prove, che coinvolge il monarca e la sua ex amante Corinna Larsen, la quale era stata registrata illegalmente dal commissario Villarejo, una spia al centro di una serie di loschi affari politici, in carcere in attesa di giudizio per i metodi di spionaggio usati.

Non è chiaro né cosa accade dell’ex regina Sofia, con cui i rapporti erano piuttosto freddi da tempo, né quale sarà il paese dell’“esilio” (dorato) dell’ex monarca. L’unica cosa che è chiara è che la mossa del re causerà nuove spese alle arche pubbliche perché dovrà essergli garantita la sicurezza nel paese dove risiederà. Dopo che, per decisione di qualche mese fa di suo figlio (quando iniziarono a trapelare i dettagli dei soldi ottenuti dal re in maniera poco limpida), non riceve più emolumenti pubblici, questa decisione avrà un impatto economico ancora difficile da quantificare.

Per ora comunque rimane “re emerito”: per togliergli questo status bisognerebbe cambiare la legge speciale che glielo attribuì nel 2014. Ma la questione che più preoccupa è capire se l’espatrio del re lo proteggerà dalle future (e comunque improbabili) condanne o indagini, o no. Secondo il suo avvocato Javier Sánchez Junco Mans, il re emerito lo avrebbe incaricato di comunicare che “nonostante la decisione in questo momento, di trasferirsi all’estero, rimane in ogni caso a disposizione del ministero fiscale (l’accusa, ndr) per qualsiasi gestione o decisione che si consideri opportuna”.

I fatti diranno se sarà davvero così, ma intanto il partito popolare si scioglie in lodi per l’ex re verso cui manifesta “rispetto” per il suo “ruolo determinante e decisivo per l’arrivo della democrazia”, mentre Vox parla di “linciaggio” della sinistra e sentenzia: “il re si esilia, la Spagna si tiene Podemos”. Il partito socialista, fra i più a disagio su tutta la vicenda, parla di “assoluto rispetto” per la decisione de re emerito e appoggia “il lavoro e l’impegno del re Filippo VI”, mentre Podemos per bocca del portavoce Pablo Echenique dice che la gente vuole “conoscere la verità sulle sue attività presuntamente corrotte e che paghi per i crimini che possa aver commesso e restituisca le imposte evase”, e aggiunge che Unidas Podemos continuerà “a esplorare tutte le vie perché gli affari turbi di Juan Carlos di Borbone si investighino a fondo” e perché “si ponga fine all’impunità”.

Se il ministro Alberto Garzón, di Izquierda Unida, chiede di trovare “i responsabili e i complici” della “trama” che non poteva mantenere “una persona sola”, la sindaca di Barcellona Ada Colau chiede direttamente un referendum sulla monarchia e sentenzia che “permettere la fuga di Juan Carlos I implicherebbe una frode alla democrazia”. Lapidario il commento del presidente catalano Quim Torra: su Twitter ha scritto solo “come Alfonso XIII”, nonno di Juan Carlos che, dopo la vittoria della repubblica nelle elezioni del 1931, abbandonò volontariamente la Spagna (e morì a Roma nel 1941, dove è nato anche Juan Carlos nel 1938). La Repubblica sarebbe durata fino al colpo di stato di Francisco Franco, che vinse la guerra civile nel 1939 e rimase al potere fino alla sua morte nel 1975.