Nonostante le numerose manifestazioni antimonarchiche degli ultimi giorni, la terza repubblica dovrà attendere. Con 299 voti favorevoli contro solo 19 contrari e 23 astensioni è infatti passata ieri in parlamento la legge che traccia la via legale alla proclamazione di Felipe VI, che sarà incoronato il prossimo 19 giugno. Un plebiscito annunciato e consegnato alla storia dai voti del Partido popular (Pp) e dei socialisti (Psoe), uniti da una corale professione di fede monarchica a cui si sono sommati i centristi di Upyd e altri partiti minori di centrodestra.
Com’era prevedibile, il borbonico sì del Pp è stato granitico, esaltato persino da una memorabile sviolinata sulle virtù del sovrano uscente in cui il premier Mariano Rajoy ha affogato ogni possibile dibattito sulla forma di governo: «Siamo qui soltanto per compiere la Costituzione, la questione della forma di governo non è all’ordine del giorno. Abbiamo una monarchia parlamentare perché questa è la volontà degli spagnoli». Eppure in questi ultimi giorni il tricolore repubblicano ha invaso le principali piazze spagnole. In ogni caso, dai banchi dei popolari, non è arrivato nemmeno un voto contrario alla storica legge, vero e proprio salvacondotto per una corona traballante e dal futuro che si annuncia burrascoso. Più sconcertante, invece – seppure anch’essa ampiamente annunciata – la compattezza del voto dei socialisti, chiamati all’ordine da un Rubalcaba – il segretario generale del partito, dimissionario dopo la disfatta delle europee – che ha dovuto arrampicarsi sugli specchi per giustificare la compatibilità del socialismo con la monarchia: «il Psoe – ha detto – rivendica la sua preferenza repubblica, ma è compatibile con la monarchia. Sarebbe un’assurdità non votare una legge che non fa che ratificare il patto costituzionale siglato durante la transizione». Poi il sofisma, mutuato da Rajoy, emblematico epitaffio politico di un’opposizione che non si è mai opposta a nulla e di un leader che non ha mai convinto: «In ogni caso oggi non siamo stati chiamati ad esprimerci sulla forma di governo». Pur così, due deputati del Psoe hanno rotto la disciplina di partito: Odón Elorza si è astenuto, mentre Guillem García, che aveva chiesto libertà di voto, ha abbandonato l’aula per protesta, manifestando un malessere che serpeggia da giorni tra le fila socialiste e sta portando anche alle dimissioni del segretario catalano Pere Navarro, schiacciato tra le direttive della cupola centrale del Psoe e le simpatie repubblicane e indipendentiste dei socialisti di Catalunya.
Astenuti anche i deputati del Partido nacionalista vasco e i nazionalisti catalani di Convergència i Unió. Ma la maggior parte dei no alla legge – che sarà approvata in senato entro pochi giorni – sono arrivate dalle fila di Izquierda Plural (il gruppo parlamentare della sinistra radicale guidato Izquierda Unida) e da Esquerra republicana de Catalunya, che hanno reclamato fin dall’abdicazione di Juan Carlos un referendum sulla monarchica. Anche ieri i parlamentari di Izquierda unida hanno mostrato in Aula cartelli con la scritta Referendum ya. Cayo Lara, portavoce di Izquierda Plural, ha parlato di una «manovra di palazzo orchestrata da partiti dinastici, che difendono la costituzione solo quando fa loro comodo e quando non si tratta di riconoscere diritti ai cittadini. Ma il popolo saprà castigare questa manovra se non verrà chiamato a decidere».