Gli amori che non sanno stare al mondo sono come quello che nasce all’improvviso tra Claudia (Lucia Mascino) e Flavio (Thomas Trabacchi) entrambi docenti universitari – lui ovviamente nei ranghi alti dell’accademia come una scala di valori declinata al maschile impone. Il primo incontro segue le regole classiche di una commedia sofisticata: battaglia, scontro puro, quasi l’insulto seppure mediato tra Kafka e Bukowski (chi si ricorda Spencer Tracy e Katherine Hepburn?) per poi dichiarare l’amore: anzi è lei che gli dice di amarlo, così, all’improvviso, prima che a pranzo abbia finito il piatto di spaghetti.
E POI, vissero tutti felici e contenti? Non proprio perché quella guerra da cui l’amore era cominciato continua giorno dopo giorno, sulle piccole cose e su quelle cosiddette importanti, che poi una scala vera di successione non c’è mai, nella fragilità della vita e dei rapporti con se stessi di cui l’altro diviene specchio e schermo e insieme oggetto degli assalti. Lei grida, piange, si incazza, lui sbuffa, si incazza pure; ci sono gli abbandoni e gli abbracci, i passi indietro e le promesse, le risposte sbagliate e le attenzioni che si vorrebbero dare e che però rimangono lì.

E questa storia sappiamo già come va a finire, anzi lo scopriamo prima che cominci perché l’incipit è proprio l’elaborazione del lutto con Claudia – a cui lo sguardo azzurro e l’ironia di Lucia Mascino permettono di rimanere con grande slancio in equilibrio anche negli attimi paradossali – che invece di dimenticare si aggroviglia sempre più nella sua ossessione amorosa. Lui se ne è andato, stavolta per sempre, lei lo bombarda di sms novella Adele H. digitale, mentre l’allez-retour tra il presente e il passato, la vita dei due insieme ci dice a ogni frammento (montaggio che respira come una jam session emozionale di Ilaria Fraioli) qualcosa in più.

I dettagli dell’intimità, dell’esperienza privata dei due personaggi riflettono una storia collettiva, la relazione tra l’uomo e la donna nel rito sociale (a cui rimandano gli archivi che punteggiano qua e là i momenti tra i due) coi suoi equilibri di potere e le abitudini antiche di uno sguardo reciproco che condiziona piaceri, sessualità, intelletto, cuore, corpo.

https://youtu.be/UZW8pX7LlJg

Amori che non sanno stare al mondo è il nuovo film di Francesca Comencini, in sala arriverà il prossimo autunno (distribuzione Warner), il primo incontro col pubblico lo ha avuto qui a Locarno, sulla Piazza Grande gremitissima – c’è sempre molta attenzione in questo festival per il cinema italiano – che ha riso molto e infine applaudito questa commedia sofisticata (anche inteso come raffinata) sullo spaesamento sentimentale con tutte le sue follie ma al femminile. Che se ci pensiamo non capita così spesso, più di frequente è l’uomo il protagonista degli abbandoni nevrotico-comici, la donna è assoluto, tragedia, perdita del senno o sennó dark lady ma questa è un’altra storia. «Mi piaceva l’idea di raccontare delle persone al di là dei generi – dice la regista – L’amore è forse inadeguato ma non c’è spazio per una sua diversa narrazione, basta guardare i libri di scuola». Così Claudia è «fou» persino più del suo amore, le armi non le depone mai, nessun respiro, nessuna concessione alla sola vaga idea di sottomettersi, di accontentare fantasmi secolari e soprattutto di mentire.

A volte bisogna anche anche non dirla la verità persino quando si tratta dell’orgasmo fingere può aiutare, le suggerisce l’amica docente antropologa (Carlotta Natoli) che come nota Claudia è diventata associata prima di lei e dunque sa stare meglio al mondo? Mente anche la ragazzetta, l’immancabile studentessa «gatta morta» con cui Flavio finirà prima a letto giocando sulla seduzione del vecchietto poi addirittura la sposerà con tanto di festa campestre…. Se il punto di partenza è un vissuto personale – il romanzo omonimo della regista, edizioni Fandango che produce anche il film – Comencini nel personaggio di Claudia, grazie alla complicità in scrittura di Laura Paolucci e Francesca Manieri con lei autrici della sceneggiatura, ne smussa i lati più rancorosi, quelli che fanno parte di ogni abbandono, prediligendo invece la chiave dell’autoironia.

Nella distanza narrativa le mescola suggestioni letterarie al sorriso, Claudia è buffa, fa ridere e sa ridere di sè nel modo di mostrarsi agli altri col suo dolore anche quando si fa male, anche nei gesti più assurdi, mentre i suoi ripetuti tentativi di riprendersi attraversano le tante immagini della donna. Può raccontare il presente una storia d’amore? Sembra anche questa la scommessa di Comencini nel film. E se si guardano le figure di donne nell’immaginario è molto complicata. «Spesso il codice amoroso si identifica con la sottomissione che le donne hanno introiettato anche in modo inconsapevole. Oggi il mondo sta cambiando ma purtroppo molto lentamente, la cronaca ci mostra ogni giorno uomini anche molto giovani che non sanno accettare un rifiuto» dice la regista.

Le piroette del suo personaggio dentro la vita toccano queste contraddizioni, come le donne si vedono, l’età vera e presunta che cresce sul «mercato» – del lavoro, della sessualità – rispetto all’uomo, i luoghi comuni imposti nell’educazione, la precarietà sentimentale che opporvi un rifiuto può scatenare. Tutto però in leggerezza, senza regole né format, seguendo il ritmo degli inciampi, di un «rito di passaggio» che cerca una sua corrispondenza intima con le immagini: l’orizzonte è aperto, e infine tutto può ancora accadere.