L’ennesimo attacco al fronte democratico di Hong Kong è stato inflitto nella giornata di ieri con il maxi arresto di 53 persone, tra attivisti di primo piano ed ex deputati dell’opposizione, accusate di aver violato la legge sulla sicurezza nazionale.

Si tratta della più grande retata sotto l’ombrello della norma entrata in vigore lo scorso 30 giugno: più di mille agenti di polizia hanno perquisito 72 luoghi diversi e notificato ordini di consegna di materiale utile alle indagini a tre società mediatiche ed editoriali, tra cui l’Apple Daily di Jimmy Lai, e un’azienda di sondaggi elettorali.

GLI ARRESTATI devono rispondere del reato di «sovversione dei poteri dello Stato», in base all’articolo 22 della legge sulla sicurezza, per aver organizzato lo scorso luglio le primarie per scegliere i candidati pro democratici da presentare alle elezioni del Consiglio legislativo, previste lo scorso 6 settembre, ma rimandate a causa della pandemia di Covid-19. Molti, però, hanno visto nel posticipo del voto il tentativo di evitare una perdita imbarazzante per il fronte filo cinese.

I democratici già vantavano una posizione di forza ottenuta con le elezioni distrettuali di novembre 2019, ma volevano consolidare la tenuta del gruppo attraverso uno schema utile a non disperdere i voti necessari per ottenere la maggioranza dei 70 seggi del parlamento della città. Per le primarie è stata adottata la strategia «35plus», con cui i democratici hanno presentato candidati unitari al fine di conquistare i 35 seggi per la maggioranza.

L’ideatore del sistema è Benny Tai, giurista e co-fondatore di Occupy, il movimento protagonista della rivolta degli ombrelli del 2014. Tai, qualche mese prima delle primarie, aveva presentato il suo programma sul quotidiano Apple Daily, incoraggiando la popolazione di Hong Kong al voto, per non perdere l’occasione di paralizzare il governo locale. L’invito è stato accolto da oltre 600 mila cittadini, che hanno appoggiato i candidati a sfidare un sistema elettorale favorevole per l’establishment filo cinese.

L’OBIETTIVO, che ha poi spinto le autorità governative al maxi arresto, era quello di bloccare nel 2021 il budget del governo di Hong Kong guidato dalla chief executive Carrie Lam, costringendola alle dimissioni. Ma come sostiene su Facebook l’attivista autoesiliato a Londra Nathan Law, il cui nome figura nella lunga lista degli indagati, «il veto sul budget è previsto dalla Basic Law – la costituzione di Hong Kong – e non si può sostenere che tutti i parlamentari pro democratici avrebbero agito contro il governo».

L’AZIONE DI FORZA del governo di Hong Kong è un malcelato tentativo di eliminare l’intero campo dell’opposizione nell’ex colonia britannica, come già fatto con gli arresti nelle scorse settimane. Sono diverse le personalità di spicco finite nel mirino dell’autorità locale: oltre a Benny Tai, c’è anche l’avvocato statunitense John Clancey, il primo straniero arrestato per la legge sulla sicurezza. Clancey ha avuto un ruolo operativo nell’organizzazione delle primarie per conto del gruppo «Power for Democracy», di cui è tesoriere.

Il governo di Pechino plaude e sostiene l’intervento della polizia di Hong Kong, mentre le autorità dell’ex colonia britannica considerano l’intervento necessario per frenare il piano «malvagio» che avrebbe paralizzato il governo di Hong Kong. Contro Pechino arrivano le accuse di violazione dei diritti umani dal Regno unito e persino dall’amministrazione Biden. Con una flebile voce, invece, si è esposta l’Unione europea, che recentemente ha siglato con la Cina l’accordo di investimento bilaterale, mettendo al palo proprio i diritti umani.