Tra le opzioni non figuravano l’abbandono dell’Unione europea e neanche l’uscita dall’euro: si tratta del programma di politica estera del Movimento 5 Stelle che è stato messo al voto online ieri sulla piattaforma Rousseau, gli iscritti avevano la sola possibilità di scegliere da un pacchetto di dieci opzioni tre «priorità» sulle quali proiettare gli sforzi di un ipotetico futuro governo a 5 Stelle.
Come al solito astensione alta: hanno votato in 23.481 su una platea di circa 135 mila. Il tema più votato è stato «il contrasto ai trattati internazionali come Ttip e Ceta», con 14.431 voti, seguito dal principio della «Sovranità e indipendenza» (10.693 voti) e dalla rivendicazione di «un’Europa senza austerità» (8.529).

L’oggetto era particolarmente scivoloso. Perché il Movimento 5 Stelle dell’inizio rielabora discorsi dei movimenti per la pace e per lo sviluppo sostenibile. Ecco allora che uno dei punti programmatici arrivato a sorpresa soltanto al quarto posto recitava «Il M5S riconosce il diritto alla pace, inteso come diritto irrinunciabile e inalienabile di tutti i popoli della Terra». Quello piazzatosi subito dopo proponeva «un percorso di disarmo per affermare nel Mediterraneo una zona di pace libera da armi nucleari» fino a «sviluppare nuove forme di relazioni internazionali che garantiscano pace e stabilità». Il fatto che questi intendimenti non svettino è frutto dei discorsi che circolano negli ambienti grillini da qualche tempo: l’impostazione «né di destra né di sinistra» implica che tali eredità culturali debbano plasmarsi attorno al nuovo scenario mondiale e alle esigenze elettorali. Ecco allora gli ammiccamenti a Putin: uno dei punti programmatici sottoposti alla consultazione digitale indica la Russia come «partner economico e strategico contro il terrorismo» e impegna il M5S a lavorare «per il ritiro immediato delle sanzioni economiche». E soprattutto i segnali di apprezzamento a Donald Trump, la cui elezione venne salutata con entusiasmo prima da Beppe Grillo e poi da numerosi parlamentari. Così, il primato ottenuto dalla bocciatura dei trattati di libero commercio consente sia un discorso protezionista più consono alle sirene della nuova amministrazione a stelle strisce che uno antiliberista legato ai movimenti sociali. Tanto più che il probabile candidato presidente del consiglio Luigi Di Maio si recherà negli Stati uniti nei prossimi mesi: sta lavorando per incontrare il presidente statunitense e ricevere un’auspicata benedizione sullo scenario globale.

Come conciliare tutto ciò con gli impegni sul fronte ambientalista o del rispetto della pace? Posti di fronte alle violazioni di diritti umani in Russia o alle politiche antiecologiche di Trump, i grillini negli ultimi mesi hanno sostenuto che non è loro compito esprimersi sulle scelte di altri stati sovrani, nel caso del responsabile esteri Manlio Di Stefano tirando in ballo addirittura l’Onu e il «principio di non ingerenza». Lo stesso Di Stefano, in tour da mesi per argomentare le sue tesi presso uditori delle più diverse fazioni, ha sempre sostenuto l’esigenza di riaprire i rapporti col regime siriano di Assad. La parola chiave, anch’essa ambivalente e buona per non spaventare gli elettori di ogni colore, è «sovranità»: a seconda delle esigenze rimanda alla critica del neocolonialismo occidentale e strizza l’occhio al nazionalismo. «La politica estera del Movimento 5 Stelle si basa sul rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, la sovranità, l’integrità territoriale e sul principio di non ingerenza negli affari interni dei singoli Paesi», si legge nella proposta programmatica piazzatasi al secondo posto.