La colonna sonora della mostra il mondoinfine – vivere tra le rovine che non è proprio una mostra e occorrono forse altre parole per dirla? Non proprio neanche stavolta. Soundwundertunnel cattura i temi e gli umori della mostra, si insinua tra le opere visive e gli incontri di parole. Segue un suo itinerario, uno dei possibili, rinnovando, chissà, il ciclo dei Caminantes di Luigi Nono («non ho cammino, ho da camminare», oppure «cerco vie non vie d’uscita»). Itinerario sonoro, finalmente, in un panorama reale che rende illegali i suoni non «popolari» istituzionali. E si spera che lo rimangano, illegali, che esaltino la loro illegalità per promuovere la rivoluzione culturale (si sa che i suoni agiscono).

Soundwundertunnel non ha una firma, potrebbe averne tredici. Discute implicitamente la sentenza che non esiste opera senza firma, cerca nel suo itinerario la dissoluzione della firma, forse, chissà, non c’è una tesi secca opposta alla sentenza vigente. Soundwundertunnel è frutto dell’ideazione d’artista di Eva Macali, musicista, artista visiva, attivista in un movimento polimorfo di operazioni artistiche. Che ha messo in successione, combinandoli in uno dei modi possibili in occasione della mostra, tredici brani di compositori, improvvisatori, poeti sonori, videoartisti. Alla Galleria Nazionale si ascoltano seguendo il «cammino» di diffusori collocati sul soffitto.

Rovine, fine del mondo, rinnovamento del pensiero critico, composizione di altra vita. Se queste sono le ipotesi in mostra, Soundwundertunnel non segue il mood della catastrofe. Segue quello della vita nuova, più libera, più ariosa, già in questo mondo perché questo mondo può già essere infine. Nell’insieme del «tunnel», s’intende, dato che non mancano spunti apocalittici. Ma passano e volano via. I brani sono: Everyday a Little Less di Aimée Portioli, Cascade di Francis Heery, Diptera and Fire di Petri Kuljunstausta, Milarepa di High Priest, Studio per «Il gande dio Pan» di Matteo Polato, nonnanonpatriotico di Jani Anders Purhonen, 9-Dimensional Chaotic Attractor di Sam Conran, K13profil di Stefan Schleupner, Salnitro di Milli Graffi, The Rite of Basto del duo Pietro Lussu-Alice Ricciardi, Rock Suite in Y di Luca Vitone, Why di Yoko Ono/Plastic Ono Band, Hörnisse di Belle Poudre (Dirk Bell/Reto Pulfer).

A parte i classici come il lavoro di Milli Graffi, un celebre saggio di poesia sonora ricco di teatralità nella polifonia di sillabe e di poche parole ripetute («urtate» «contro» «le tremende» «rose»), e di Yoko Ono, pre-punk+Fluxus con le magnifiche apocalittiche (ebbene sì) vitalistiche distorsioni di chitarra e voce per urlare la domanda fatale («why», perché succede, perché viviamo), si tratta di opere brevi e meno brevi di musicisti performer giovani che hanno prodotto per questa mostra e questo «tunnel». In Aimée Portioli si ritrova l’amabilità di Cage con quei suoni sintetici suadentemente ritmici e percussivi un po’ minimal, ma c’è la gentilezza terribile del pensare il presente andandogli incontro, scommettendo che l’apocalisse potrebbe anche accadere ma non sarebbe poi tutta ‘sta gran rovina oppure che l’unico modo di scongiurarla è godere delle relazioni folli (di libertà) che si possono almeno immaginare se non realizzare (e perché no?).

Un’altra domanda fatale, proprio alla fine del «cammino» sonoro, si ascolta da una voce un po’ spettrale un po’ pensosa nel lavoro di Belle Poudre: «per quanto tempo saremo qui». Noi specie o noi individui sociali differenziati? Il pezzo è mirabile per ideazione sonora: un affannarsi prima lieve poi più urgente di suoni-rumori (oggetti, respiri) su un tempo veloce non dettato da nessun ordinamento metrico o dinamico ma suggerito dal carattere della musica, dal modo di stare nei suoni.

La delizia, la meraviglia è Cascade. Francis Heery, trentottenne compositore e «sound artist» irlandese, regala particelle liquide di suoni (ovviamente sintetici, tecnologici) che danzano e giocano e sembrano mimare la riflessione (che cosa ci sarà mai da meditare continuamente…). Queste gocce, queste cascatelle così bene «orchestrate» chissà come diventano parte della nostra percezione dilatata, del nostro desiderio. Il glitch e persino gli spruzzi di neo-webernismo sono da perdizione per l’euforia dell’ascolto. Non c’è mai niente di terrifico in questa musica. Il propulsivo fantasma è ancora Cage: si può attraversare l’epoca, comprese le rovine, con il tratto dell’amabilità. Altro richiamo o evocazione: la Lovely Music (Robert Ashley, Peter Gordon, David Behrman, “Blue” Gene Tiranny): come fare una grande musica d’uso.