Che sia il blasonato Superman o un orientaleggiante Shang-Chi, l’eroe di carta non è più tale. Ora domina lo schermo, con un genere tutto suo. Tra produzioni mastodontiche e incassi miliardari, il cinecomics – nato da una crasi – è il fenomeno generazionale del momento. Affermatosi tra gli anni Ottanta e Novanta per esplodere solo con il nuovo millennio, registra in questi anni i risultati più impressionanti. Con la sua serialità tiene incollati alle poltroncine rosse cultori del fumetto e teenager estasiati. C’è il fascino della sala, le spacconate, l’epicità dei racconti innaffiati di lacrime e goliardia, ma guai a sottrarre dall’equazione la componente musicale. È alle soundtrack più imprevedibili che spetta il compito di animare le icone Marvel e DC. Dai capisaldi ai nuovi successi, abbondano le sequenze rese indimenticabili dai brani cult. Perché se in lettura le note vanno immaginate, al cinema si alza il volume. Proprio come fa lo Star-Lord di Chris Pratt, sempre armato del suo Awesome Mix da ascoltare mentre fa il mazzo ai cattivi.

UN WALKMAN
A definire Peter Quill, personaggio centrale dello scanzonato film rivelazione di James Gunn Guardiani della Galassia, è proprio un Walkman, feticcio con cui mandare a nastro hit degli anni Sessanta e Settanta. Il tenero ricordo del pianeta Terra e della famiglia, a cui viene strappato dai Ravagers di Yondu Udonta ancora bambino, è monopolizzato da una raccolta pop rock assemblata da sua madre. La scoppiettante compilation su cassetta incorpora quella stessa colonna sonora che, pubblicata con l’uscita cinematografica, schizzerà al vertice della Billboard 200.
Qualcosa di inedito per un film che suona solo canzoni non originali. Da menzionare certo le splendide composizioni di Tyler Bates, ma sono i brani voluti dal regista – inseriti direttamente in sceneggiatura e poi suonati sul set – a cementare la narrazione entrando nel DNA degli eroi. Si parte con un irresistibile incipit in cui Star-Lord tenta di trafugare la preziosa sfera che si cela in una grotta al ritmo di Come and Get Your Love dei Redbone, brandendo una stramba creatura a mo’ di microfono. A seguire il secondino che lo tiene sottochiave a Kyln, carcere di massima sicurezza tra le stelle, se la spassa mentre ascolta Escape (The Piña Colada Song) di Rupert Holmes con il suo mangianastri. Moonage Daydream di David Bowie, invece, impazza quando a bordo della navicella Milano ci addentriamo nella «space face» di un antico Celestiale, enorme testa mozzata riconvertita in quartier generale del Collezionista di Benicio Del Toro. E ancora con i Jackson 5, sul finale I Want You Back fa scatenare il mitico Baby Groot intento a prendersi gioco del Drax di Dave Bautista.

SCINTILLE
Sonorità che sono un balsamo per i protagonisti spiantati, mercenari eroi per un giorno finalmente liberi di far emergere emozioni, sentimenti, paure sulle note dei successi del passato. Memorabile è pure la scintilla che scocca con la tenebrosa Gamora, incoraggiata da Fooled Around and Fell in Love di Elvin Bishop. A mandarla in play è un Quill innamorato, mentre ammirano l’immensità dello spazio siderale. Non prima di aver messo ko Ronan l’accusatore con un’improbabile performance di O-oh Child. James Gunn, dal suo esordio nel Marvel Cinematic Universe, propone una versione dell’Action Sci-Fi indissolubilmente legata alle selezioni musicali più ardite.
La magia è destinata a ripetersi solo tre anni più tardi, nel 2017, con l’uscita in sala del Vol. 2 – in riferimento al mixtape che ha reso leggendario il capitolo precedente. Questa volta le colonne portanti sono The Chain dei Fleetwood Mac e Brandy (You’re a Fine Girl) dei Looking Glass, scelte ancor prima della fase di scrittura. Tra navette avveniristiche e vegetazione lussureggiante, My Sweet Lord di George Harrison accompagna l’arrivo dei Guardiani sul pianeta di Ego, il padre naturale di Star-Lord interpretato da Kurt Russell. La difficile relazione tra i due copre l’intero arco narrativo del film ed è al cuore di alcuni dei momenti più emozionanti. Impossibile resistere alla Father and Son di Cat Stevens, da ascoltare con le cuffiette durante un toccante quanto pirotecnico funerale spaziale.
A completamento della nuova colonna sonora, poi commercializzata anche su musicassetta, qualcosa di speciale: nei titoli di coda Guardians’ Inferno scritta dai The Sneepers (nient’altro che Gunn con il compositore Bates) e cantata da David Hasselhoff. A ispirarla è il tema di Star Wars in versione disco proposto da Meco nel suo album Star Wars and Other Galactic Funk, certificato Platino nel 1978. In occasione dell’uscita del film in streaming e Blu-ray spunterà fuori anche il videoclip, in stile anni Settanta, sulla falsa riga dell’originale coreografato da Penny de Jager. Tutte le star del franchise, da Bautista a Pratt passando per il compianto Stan Lee, si scatenano rivestite di paillettes.

SENSE OF HUMOUR
Al culto incondizionato per la musica, il film-maker statunitense James Gunn affianca da sempre il suo peculiare sense of humour. Il connubio, che produce intuizioni geniali, nel 2018 gli costa la temporanea messa al bando da Disney e Marvel Studios.
La pietra dello scandalo sono dei vecchi tweet molto scorretti e indelicati, riemersi dall’oblio di Internet. Perdonato e rimesso al lavoro sul suo Vol. 3 della serie dedicata ai Guardiani, in uscita il prossimo anno, nella breve pausa di riflessione – perché non tutti i mali vengono per nuocere – lancia un nuovo progetto. Finito dritto tra le braccia della concorrenza DC che gli dà carta bianca, eredita la non felicissima Suicide Squad di David Ayer attuando un restyling radicale: goffa, sboccata, ultraviolenta, la nuova versione aggiornata è un concentrato di ironia dissacrante e splatter spinto. Tra litri di sangue e continue battute a sfondo sessuale, Tyler Bates cede il passo a John Murphy ma il modus operandi resta lo stesso. I brani li decide Gunn che ancor prima di mettersi al lavoro sulla scrittura attinge a piene mani dalle sue infinite raccolte musicali, che vanno ben oltre i mix riservati agli Avengers dello spazio. In apertura, tra le mura del carcere di Belle Reve, risuona la versione live di Folsom Prison Blues di Johnny Cash. Il killer Savant che non è certo un «bravo ragazzo» viene reclutato nella caotica Task Force X di Amanda Waller. Prima dei titoli di testa avrà già preso parte a una carneficina debitamente esaltata da People who Died, quinta traccia dell’album di debutto della The Jim Carroll Band. Quando il team di supercriminali spiantati è finalmente riunito e pronto ad affrontare la vera «missione suicida», ecco che scatta Hey dei Pixies a completare il quadro. Sotto la pioggia i personaggi si concedono la tipica trionfale camminata al rallenty. Ma a galvanizzare lo spettatore è la scena che vede protagonista la Harley Quinn di Margot Robbie, già rodata nel suo precedente film in solitaria dove in una sequenza sognante ricalcava la celeberrima Diamonds Are a Girl’s Best Friend di Marilyn Monroe da Gli uomini preferiscono le bionde. Qui sempre coinvolta in relazioni tossiche, dopo aver ucciso l’ultimo fidanzato despota dell’isoletta dove si trova in missione, viene catturata e seviziata dai suoi scagnozzi. Apparentemente sofferente e spezzata, ci inganna per un momento canticchiando I Ain’t Got Nobody di Spencer Williams. La verità è un’altra, Harley non ha bisogno di nessuno e ce lo dimostra falcidiando decine di soldati. Tra fucili, giavellotti ed esplosioni floreali il brano di Williams viene brillantemente riproposto insieme a Just a Gigolo, nel medley di Louis Prima.

PLAYLIST
Per gli appassionati c’è poi un must. Il profilo Spotify di Gunn ospita – oltre alle sue varie playlist tutte pubbliche – una selezione ufficiale di undici tracce in pole position per il film e poi accantonate. Anarchico, eclettico, indipendente tocca forse la vetta sul piccolo schermo. A stretto giro con l’uscita nei cinema di The Suicide Squad, viene annunciata una serie sequel con protagonista John Cena nei panni dell’antieroe Peacemaker. Il regista trova il modo di superarsi già a partire dall’improbabilissima sigla d’apertura: il Capitan America della DC coordinato con tutto il cast, a metà tra Chaplin e Buster Keaton, si cimenta serissimo in una ridicola scena di ballo sulle note di Do Ya Wanna Taste It dei Wig Wam, gruppo glam metal norvegese. Nell’atto finale irromperà anche un’aquila in CGI, emblema dell’insensato patriottismo del personaggio. Gli otto episodi dello show, appena distribuiti negli Usa, sono il vero manifesto dell’anima punk rock del suo creatore già dichiarata ai tempi del collage con l’adesione ai The Icons, band new wave di cui è stato frontman e fondatore.

ANNO ZERO
Ma se oggi il nome James Gunn è sinonimo di garanzia, non è solo merito del suo irriverente genio creativo. Illustri predecessori hanno dettato le regole del gioco, ascrivendo la componente musicale tra gli elementi ineludibili per la buona riuscita di un cinecomics. Sono due i titoli che hanno fatto scuola nel modellare le proprie colonne sonore sui personaggi delle storie a fumetti, i capostipiti delle rispettive casate: l’ormai cult Batman di Tim Burton e il celebre Iron Man del 2008, anno zero del MCU.
Tony Stark si sa, è più una rockstar che un tradizionale supereroe. Il film di Jon Favreau lo metteva subito in chiaro con la storica sequenza d’apertura. Il futuro vendicatore, ancora nelle vesti di un egocentrico produttore d’armi, è diretto a bordo di un blindato verso la base militare dove presenterà il suo nuovo missile di ultima generazione. Nell’attesa, con il brullo paesaggio afghano sullo sfondo, lo vediamo sorseggiare un buon whisky ghiacciato mentre si gode Back in Black a tutto volume. Ci sono gli AC/DC ad aprire il film, in chiusura toccherà ai Black Sabbath. Il distorto e metallico «I am Iron Man» pronunciato da Ozzy Osbourne viene reinterpretato sul grande schermo da Robert Downey Junior, perché l’incorreggibile uomo di ferro proprio non si trattiene dal rivelare al mondo la sua identità segreta: «Io sono Iron Man» dice davanti alle telecamere prima dei titoli di coda, frase che ne segnerà la gloriosa parabola. Nell’ultimo Avengers – Endgame del 2019 lo ribadisce convinto prima di immolarsi salvando l’umanità dall’implacabile Thanos.
Se non è abbastanza, il film del 1989 che vide per la prima volta Michael Keaton vestire i panni del crociato mascherato alza ancora l’asticella. Al lavoro sulla parte strumentale c’è già Danny Elfman, che vincerà un Grammy, ma si pensa a un secondo album di coppia con canzoni ad hoc: per il cattivo il funk di Prince, per l’eroe le ballad di Michael Jackson. Quest’ultimo rinuncia poi alla collaborazione perché ancora impegnato con il suo Bad World Tour e la Epic Records. Batman diventa tra i primi lungometraggi a vantare due distinte colonne sonore, quella del folletto di Minneapolis, trainata dal singolo Batdance, rimarrà sei settimane al vertice della Billboard 200. Sul set Burton la ascolta a ripetizione per immaginare il suo Joker, o meglio quello di Jack Nicholson. Dietro a due delle sequenze più esplosive ci sono proprio le tracce di Prince: Partyman è suonata dal grosso stereo anni Ottanta che il clown Principe del Crimine porta con sé nell’assalto al museo, mentre Trust di lì a poco ne accompagna la festosa parata per le vie di Gotham.

IN VETTA
Un retaggio ingombrante, difficile da superare o anche solo eguagliare. Ci penserà Joker, primo cinecomics ad aver raggiunto l’Oscar al miglior film. Il capolavoro di Todd Phillips stravolge l’iconografia dell’amato villain con l’utilizzo di canzoni come Rock & Roll, Part 2 (Gary Glitter, nella famosa «scena della scala»), That’s Life cantata da Frank Sinatra e White Room dei Cream. Per non parlare delle acclamate composizioni di Hildur Guðnadóttir, violoncellista islandese che con i suoi brani – tra tutti Bathroom Dance – esplora il lato più oscuro e deviato dell’Arthur Fleck di Joaquin Phoenix. L’ultima incarnazione dell’Uomo Pipistrello prende il via proprio da questa nota dark. Il giovane e acerbo «Emo Batman» di Robert Pattinson vive da recluso nel decadente maniero dei Wayne, con gli occhi cerchiati dal trucco colante e i lunghi capelli spettinati. Matt Reeves se lo immagina cupo e ribelle ascoltando la Something in the Way dei Nirvana, dodicesima traccia di Nevermind scelta per aprire e chiudere il film.
Mai pubblicata come singolo è entrata in classifica con la diffusione del primo trailer, piazzandosi al secondo posto della «US Rock Digital Songs Sales». «In The Batman – ammette il regista – si è tentato di infondere un po’ del tormento di Kurt Cobain: la fama, il buio degli ultimi anni, la dipendenza dall’eroina o, nel caso del Cavaliere Oscuro, dalla cruda ’vendetta’».
Intanto tra le nuove leve Marvel, dopo le compilation di Peter Quill e il rock del buon Iron Man, domina l’hip hop a cominciare dal velenoso Deadpool Rap. La canzone creata dagli youtuber Teamheadkick in riferimento al videogioco del mercenario chiacchierone, reinterpretata per il film del 2016, figura nella colonna sonora a cura di Junkie XL ed esalta il momento in cui lo sfregiato Wade Wilson assume l’identità di Deadpool. Se DMX tra una freddura e l’altra (vengono messi in mezzo pure i Limp Bizkit) impreziosisce gli slow motion con X Gon’ Give It to Ya, alle Salt-n-Pepa spetta il compito di introdurre il personaggio per la prima volta. L’impertinente antieroe di Ryan Reynolds tende un’imboscata appollaiato su un cavalcavia mentre con la sua radiolina ascolta Shoop. Fermata la musica e infranta la quarta parete, si prende gioco della produzione condividendo la sua storia con il pubblico: «Lo so, ve lo state chiedendo… a chi ho dovuto solleticare le palle per fare un film tutto mio?!».
Su un altro livello è il fenomeno Black Panther. Il cinecomics di Ryan Coogler non solo vanta delle eccezionali strumentali, che vinceranno l’Oscar, ma ha un suo concept album a firma Kendrick Lamar. Ventitré artisti, da Schoolboy Q a Travis Scott, per quattordici tracce sull’impronta del film.
Black Panther: The Album-Music from and Inspired by, pubblicato nel 2018 in concomitanza con l’uscita cinematografica, conquista agilmente la prima posizione della Billboard 200, con il singolo King’s Dead di Lamar insieme a Future e Jay Rock premiato ai Grammy. A Opps di Vince Staples in coppia con Yugen Blakrok va la scena più adrenalinica: T’Challa e sua sorella Shuri dopo un rocambolesco inseguimento catturano il pericoloso trafficante d’armi Ulysses Klaue.
Siamo letteralmente ai titoli di coda. Il chiacchieratissimo terzo atto della saga con Tom Holland No Way Home, re del botteghino pandemico, è riuscito nell’impresa di riappacificare tre generazioni di Spider-Man: The Magic Number, chiosano i De La Soul poco prima dell’immancabile scena post-credits. Il classico tratto dall’album d’esordio 3 Feet High and Rising e basato su un campione di Three Is a Magic Number di Bob Dorough, fa l’effetto di una clamorosa ghost track. Disgraziatamente a trentatré anni dalla sua pubblicazione, vecchie beghe legali gli impediscono l’approdo ai vari servizi di streaming musicale. Una tragedia per i giovanissimi fan dell’Uomo Ragno.