Alla materialità delle strade e gli edifici di New York, la sua metropolitana, le folle in movimento, si contrappone un mondo etereo, «morbido», «vaporoso» come dice Pete Docter dei due universi al centro di Soul, il nuovo film d’animazione Pixar di cui è regista (e sceneggiatore) – insieme a Kemp Powers – presentato ieri in apertura della Festa del Cinema di Roma, che proprio a Docter (collegato in streaming a causa della pandemia) riserva quest’anno il Premio alla carriera. Soul è il film al centro della polemica fra sale e studios dal momento in cui la Disney, a pochi giorni dall’inizio della Festa, ha fatto saltare la sua uscita prevista a novembre per programmarlo direttamente a Natale sulla sua piattaforma Disney+.

Interpellato sulla possibilità di vedere un giorno Soul in sala, Docter si limita a qualche frase di circostanza che non possa creare attriti con il gigante hollywoodiano per cui lavora – «Dipende dall’andamento della pandemia, vogliamo far sì che le persone siano al sicuro, e siamo felici di poter raggiungere tantissime persone nel mondo attraverso la piattaforma» – ma sottolinea che «ogni singolo particolare del film è stato disegnato pensando al grande schermo».

E «SOUL», come tutti i film Pixar, è davvero ricchissimo nella cura dei particolari – a partire dalla storia stessa, da quelle piccole cose che messe insieme danno forma al senso della vita, la cui ricerca è al cuore dell’avventura di Joe ( Jamie Foxx), insegnante di musica alle scuole medie il cui sogno è sempre stato fare il pianista jazz. Proprio quando sta per andare al provino più importante della sua vita, un incidente lo scaraventa però suo malgrado nel Great Before – l’Ante-mondo dove le anime ricevono la loro «formazione» prima di raggiungere la terra. Tutte tranne 22 (Tina Fey), indifferente agli insegnamenti dei grandi mentori che hanno cercato di farle trovare la sua «scintilla» – da Archimede a Gandhi e Lincoln – e decisa a non entrare mai in un corpo umano: non esiste per lei alcuna passione bruciante, come quella di Joe per la musica, che possa dare un senso alla sua vita terrena.

Primo film interamente african-american della Pixar, Soul tratta ogni singolo personaggio come un universo da esplorare: «Anche per il musicista che non ha battute nel film che Joe e 22 incontrano nella metro di New York avevamo immaginato una storia», racconta Kemp Powers. «E ne avevamo perfino una per i tatuaggi di Dev, il parrucchiere di Joe, che sono tipici della marina militare e alludono alla sua storia di uomo nero nelle forze armate, che per gli afroamericani hanno spesso rappresentato un mezzo per avere un’educazione, entrare nella borghesia».

Il mondo «etereo» di Soul – i cui custodi non potranno fare a meno di evocare La Linea di Osvaldo Cavandoli per il pubblico italiano – è invece in un’ulteriore incarnazione di un meccanismo già collaudato dalla Pixar, dal mondo abitato delle emozioni di Inside Out dello stesso Docter all’aldilà di Coco.

E IL «PORTALE» fra i due mondi – nell’esperienza di Joe, è la terza protagonista di Soul: la musica – il pianista Jon Batiste ha prestato le sue mani a Joe e scritto la colonna sonora del film insieme a Trent Reznor e Atticus Ross, le cui musiche «cupe» possono sembrare una scelta insolita per un film destinato anche ai più piccoli. «È proprio questa ’stranezza’ il motivo per cui abbiamo lavorato con loro», spiega Docter. E, aggiunge Powers, «l’idea mi ha subito appassionato perché significava che il film poteva addentrarsi anche in territori più oscuri, esplorare nuove sonorità e atmosfere». Un viaggio in un mondo di luci e ombre per giungere alla stessa scoperta di George Bailey/James Stewart e il suo Angelo di seconda classe: che la vita è meravigliosa.