«Altri cinque giorni in prima pagina per i litigi sulle poltrone da sottosegretario, con Salvini che coglie l’occasione al volo e spara a zero, sarebbero un disastro»: ridotto all’osso il senso del discorsetto che il premier Giuseppe Conte rivolge ai capidelegazione Dario Franceschini e Luigi Di Maio è questo e nessuno se la sentirebbe di dargli torto. A quel punto la riunione del consiglio dei ministri che avrebbe dovuto nominare i sottosegretari aveva già derubricato l’ordine del giorno a varie ed eventuali, rinviando a martedì prossimo la spartizione dei 42 sottosegretariati in ballo. Un’eternità nell’ineccepibile parere del premier, che chiede di accelerare e strappa l’impegno a fare nottata. Con l’auspicio di presentare la squadra per il giuramento già stamattina ed evitare la figuraccia d’esordio.

I capi delegazione concordano ma non se la sentono di dare assicurazioni. L’ostacolo non è, come da propaganda salviniana, la rissa tra i due principali partner. Qualche problema ancora c’è ma da quel punto di vista, anzi, le cose hanno funzionato meglio del previsto e almeno la ripartizione sul pallottoliere era definita già ieri pomeriggio: 22 sottosegretari ai 5 Stelle, 15 al Pd, due a Leu, tre divisi tra «vari ed eventuali» che contribuiscono però in modo determinante alla possibilità per il governo di non annaspare al Senato. Come il socialista Riccardo Nencini o il sottosegretario uscente, e probabilmente rientrante, agli Esteri Ricardo Merlo, del Maie, nonché, forse, il veterano Bruno Tabacci per i non meglio precisati «centristi».

L’ostacolo serio non è il braccio di ferro tra partiti. E’ la guerriglia interna a ciascuno di questi tra correnti e, soprattutto tra i 5S, tra le voracità individuali. Sia dunque reso omaggio al bistrattato ex ministro Danilo Toninelli. Tra i pezzi grossi pentastellati del passato governo è l’unico che non stia sgomitando da fare invidia agli antichi mastellati e smuovendo mari e monti per piazzarsi almeno come sottosegretario. La più scatenata, tanto da destare commenti imbarazzati persino tra i 5S, è la ex viceministra Laura Castelli. Forte, più che dei risultati ottenuti, dell’incondizionato appoggio di «Giggino», reclama la conferma, e lo fa a voce altissima. Deve vedersela però con l’agguerrito collega Stefano Buffagni, anche lui sottosegretario uscente agli affari regionali. Nessun problema invece per il Pd, che per quel posto ha in corsa Antonio Misiani secco.

L’ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta si dà parecchio da fare per gli Interni e sarà probabilmente premiata, sempre che ce la faccia contro un concorrente agguerrito come il capo dei deputati Francesco D’Uva, mentre per il Pd quel posto è già appaltato dal renziano, però dal volto umano, Emanuele Fiano. Ma al fotofinish è spuntato l’ex reggente Maurizio Martina. Se dovesse farcela verrebbe depennata dalla lista Debora Serracchiani, altrimenti in squadra con casella da definirsi. L’ex ministra per il Sud Barbara Lezzi non ha propria volta grandi successi da vantare. Forse anche per questo si accontenterebbe del posto in seconda fila nel dicastero che guidava. Manlio Di Stefano, a suo tempo tra i più critici per l’operazione con il Pd, soprassiederà sui dubbi in cambio della riconferma agli Esteri, dove sarà appaiato alla Pd Marina Sereni.

Una postazione centralissima, quella del sottosegretario a palazzo Chigi con delega all’editoria, dovrebbe andare al Pd area Orlando Andrea Martella, che ha già avuto la meglio su Walter Verini. Lì però qualche tensione con i 5S c’è e tale da lasciare la casella in bilico. Il Pd ambisce infatti anche alle Comunicazioni, con Antonello Giacomelli ma in quel caso i soci, pardon gli alleati, si impunterebbero per l’Editoria. Sacrificando comunque Vito Crimi. Per l’altro sottosegretariato nevralgico, quello con delega all’Energia, invece non dovrebbe temere nulla il dem Gian Paolo Manzella. La delega alle Riforme è infine un secondo elemento di scontro ancora aperto tra i due partiti. In pole position c’è il 5S Fraccaro, insidiato però dal renziano Roberto Cociancich.

Leu dovrebbe ottenere due sottosegretariati. Uno, alla Cultura per Peppe De Cristofaro, dovrebbe essere certo. Per il secondo i nomi in ballo, da Muroni all’Ambiente a Paglia all’Economia, sono una quantità.