Più che le presenze spiccano le assenze nello squadrone dei sottosegretari che giureranno lunedì alle 10.30. Per evitare di prolungare la figura poco encomiabile di una prolungata rissa per le poltrone, Conte e i capidelegazione Di Maio e Franceschini hanno forzato la mano e ieri mattina la lista era completa: 21 posti ai 5S, 18 al Pd, 2 a LeU, 1 al Maie.

Le candidature eccellenti date per certe e falcidiate nella notte dei sottosegretari sono però un esercito. Qualche nome di serie A manca anche tra i sottosegretari e viceministri del Pd: Emanuele Fiano, renziano e considerato sicurissimo, Maurizio Martina, ex ministro ed ex reggente, Deborah Serracchiani, già vicesegretaria del partito. La lista dei caduti a cinque stelle è più impressionante. Ce l’ha fatta Laura Castelli, che resta viceministra dell’Economia e ancora si duole per non essere l’unica, dal momento che al fianco c’è il Pd Misiani. Niente da fare invece per Elisabetta Trenta e Barbara Lezzi, ex ministre, e per Francesco D’Uva, capogruppo.

Per il resto poche sorprese. Al Pd è riuscito il colpaccio di accapparrarsi le deleghe sia all’Editoria, con l’orlandiano Martella, che alle Telecomunicazioni, con Manzella, unico nome che per Zingaretti era irrinunciabile. Buffagni, il 5S battuto dalla vorace Castelli all’Economia, slitta allo Sviluppo, ministero del tutto in mano ai 5S: la roccaforte. LeU avrà come previsto due sottosegretariati, ma De Cristofaro passa dalla preventivata Cultura al più pesante ministero dell’Istruzione e Cecilia Guerra, già al governo come sottosegretaria all’Economia con Letta torna al medesimo posto. Confermato Merlo, per il Maie, mentre a sorpresa è saltato sul finale Nencini, considerato probabilmente da Zingaretti troppo vicino a Renzi.

I renziani, nella squadra di governo, vedono perfettamente rispecchiato il loro peso nel partito, intorno a 50%. Hanno 3 ministri e da ieri una viceministra, la Ascani all’Istruzione, e 4 sottosegretari, tra cui Scalfarotto in una posizione rilevante come gli Esteri. Eppure quella che è a tutti gli effetti una componente autonoma in tutto tranne che nel nome della maggioranza è anche la sola a lamentarsi del risultato. Apre il fuoco la Boschi, appigliandosi all’assenza di sottosegretari toscani nel pattuglione di viceministri e sottosegretari: «Spero che non sia un attacco a Renzi». Il sindaco di Firenze Nardella e la segretaria del Pd toscano Bonafè sono più caustici, con la seconda che si chiede se «non ci sia una purga Renzi da pagare».

In realtà il peso delle regioni è stato davvero importante nel risolvere le sfide all’interno del Pd, tanto che Walter Verini, quotato per l’Editoria fino all’ultimo secondo, è poi saltato da ogni casella proprio perché l’Umbria sembrava sovrarappresentata. Dunque l’assenza di esponenti del Pd toscano è effettivamente singolare e non è escluso che risponda all’esigenza di limitare il peso dei renziani. I quali tuttavia, nella rosa di nomi proposta al premier, non avevano inserito nemmeno un toscano. Dunque non si può neppure escludere che la loro vibrata protesta sia artificiosa.

In entrambi i casi è un fatto che il Pd vive una condizione di pre-scissione che ha certo pesato anche sulla composizione della squadra dei sottosegretari. I segnali sono numerosi. Le voci su una imminente uscita dei renziani dal gruppo parlamentare si rincorrono e si moltiplicano, sulla stampa e in Parlamento, da una settimana. L’ora X, inizialmente fissata per ottobre, sembrava fino a ieri slittata ma alcuni elementi indicano invece una possibile accelerazione.
Rosato, uno dei colonnelli principali, ha chiesto ai circoli l’adesione al documento della corrente per il 25 settembre. Giusto in tempo per Leopolda. Ci sarebbero stati contatti tra renziani e 5S perché la nascita di un nuovo gruppo da un lato obbligherebbe a confermare il sostegno al governo, e dall’altro metterebbe i 5S di fronte alla necessità di chiudere l’accordo con Renzi alla luce del sole. La ministra Bellanova, in tv, fa capire che la scissione non sarebbe una tragedia. La Boschi la esclude. Per ora: «Ma certo, se rientrassero Bersani e D’Alema…».