C’era una volta… – Un pezzo di legno! – diranno subito gli esperti lettori. No, avete sbagliato. C’era una volta una linea. Mr Linea. È lui il vero erede, e l’unico equivalente cinematografico, di Pinocchio. E Osvaldo Cavandoli è il suo Geppetto. Altro che Disney. O altri. Gemello postumo del Fantoche di Emile Cohl apparso all’alba dell’animazione europea, Mr Linea, pupazzetto sempre mobile, spesso agitato, ridotto a solo contorno, superstilizzato, è graficamente contratto in profilo perenne: un’esistenza diminuita, un po’ come la parallela vita di legno di Pinocchio.

Mr Linea (che fa il suo blitz animato alla fine degli anni 60, a poco meno d’un secolo dal battesimo di Pinocchio) nasce lui pure da un gesto artigiano: non di martello e scalpello, ma d’un tratto a matita, diventando tutt’uno con un’altra linea, piedistallo e, insieme, percorso, sua casa e suo destino, senza mai staccarsi definitivamente dalla mano del babbo-lapis, chiamato in causa – come già Geppetto – nei momenti di bisogno o di borbottatissime rivendicazioni. Ma anche quando non si scuote in borborigmi e sproloqui sonori all’indirizzo del babbo fuori campo o della mano riparatrice in campo, è sottilmente allusivo – con chiara consapevolezza pinocchiesca – della sua vita tutta artificiale e «dipendente».

Come avviene nei momenti seriali di libera uscita dagli shorts pubblicitari cui s’è prestato per dar di che vivere al povero babbino: si sente indipendente, certo, e si concede ogni arbitrio, ogni fuga, ogni scandalo, ma sempre dentro la trappola grafica che è anche suo continuo richiamo terreno, sua imprescindibile legge di gravità: o di Fata Turchina. È l’eterno tiramolla Dr Jekyll/Mr Hyde (di quattro anni successivo al Pinocchio di Collodi). Lo scrupoloso e parsimonioso Geppetto s’è dato una «botta di vita» scalpellando Pinocchio, il suo Mr Hyde di legno, che sregolatamente consumerà tutti i suoi inconfessati e frustrati desideri. Anche Cavandoli s’è creato il suo doppio, cui tutto è permesso: basta che Mr Linea, dopo innumerevoli sotterfugi, malefatte, impennate spericolate, si dimostri alla fine un bambino ragionevole, un bravo burattino.

Non è un caso che il monello collodiano sia una costante nella produzione dell’artista milanese, cui il «Sottodiciotto» di Torino dedica domani un bell’omaggio nel centenario della nascita . Al periodo-Linea appartiene un Pinocchio del 1979-80, «tassello d’una serie di fiabe – spiegava l’autore – disegnate con l’idea di farne un libro». Il Pinocchio-Linea trova un bel gruzzolo, lo occulta ma arriva la Fatina con l’immancabile interrogatorio: Pinocchio mente, bacchettata magica sul naso, il naso cresce, arrivano gli uccellini che glielo beccano, il naso torna normale e Pinocchio è pronto per nuove avventure, in cui diventa Aladino e poi il Gatto con gli stivali, una catena di fiabe dall’eterno ‘continua’.

Ma Pinocchio appartiene anche a un’archeologia d’autore, al periodo dei primi film con pupazzetti tridimensionali («gli antenati della Linea, grassottelli e ben vestiti»), animati in stop motion, tra il 1951 e il 1956, quando il cartoonist allora esordiente realizzava spot animati a Milano con i fratelli Pagot. Oltre ai pupazzi, Cavandoli costruiva e animava i relativi attrezzi da casa di bambola, fucilini, pistole, interi arsenali d’armi in miniatura, rimasti a lungo sepolti, con relative pellicole, tra le scartoffie del suo minuscolo studio, botteguccia di «falegname dell’animazione» nel cuore di Milano. Con altri filmati più noti (cowboy-parodie, quali Asso nella manica o Billy pistolero, «un West baraccone, uno spaghetti-puppets, quando ancora il western all’italiana era fantascienza», spiegava l’artista), il Pinocchio a pupazzi appartiene a una magica «Pupilandia» poi abbandonata per la più rarefatta e dinamica «Linelandia». «Ha esattamente l’età di mio figlio Sergio», ripeteva con orgoglio Cavandoli (già, in questo, clone perfetto di Geppetto) a proposito del suo primo Pinocchio, l’altro ‘figlio’, corto progettato nel 1951, rimasto alla fase di provino, recuperato per i Caroselli, poi disperso e infine fortunosamente ritrovato: un figliuol prodigo, insomma. È un film cui l’autore teneva moltissimo: «È uno dei primi film da me realizzati con i pupazzi, ai miei esordi di cartoonist. Me l’aveva commissionato una delle tante produzioni romane che poi si volatilizzano. Rimasto con il lungometraggio a metà (avevo già impostato gli episodi della parrucca, degli sberleffi di Pinocchio, del Teatro dei burattini), colsi al volo un’occasione pubblicitaria, quella dell’Olio Dante, che manipolò a suo uso e consumo l’episodio del Pescatore Verde: «Adesso ti friggo!», «No, non voglio!», «Nemmeno nell’Olio Dante?», «Ah, beh, se è Olio Dante…»