Pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista rilasciata dal fotografo americano della Magnum a Rai Radio3 per il podcast «L’isola. New York 9/11» che racconta la città nelle ore e nei giorni che seguirono l’attentato alle Torri Gemelle. Due i testimoni d’eccezione: Steve McCurry e Amitav Ghosh.

I podcast, in tre puntate, saranno sulla piattafoma di Radio3 dal 10 settembre.
                                            

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Mi chiamo Steve McCurry, sono un fotografo, sono di New York. La mattina dell’undici settembre ero a casa, nel mio appartamento a Washington Square Park, a New York.

Ero sceso nel mio ufficio dove c’era la mia assistente che stava leggendo le mail e dando un’occhiata alle ultime informazioni… Sua madre ci ha chiamato dal Nebraska e ci ha detto: «Il World Trade Center è in fiamme, avete visto?».

Così ho preso le macchine fotografiche, siamo saliti sul tetto e ho iniziato a scattare. Era del tutto inverosimile che la torre potesse crollare… Sapevo che c’erano migliaia di persone nell’edificio, anche sotto di esso e che c’erano i vigili del fuoco… Stavo letteralmente assistendo alla morte di migliaia di loro e ne ero consapevole. È stato orribile… Poi, dopo pochi minuti, la seconda torre è crollata.

Quando ho visto l’edificio collassare, mi sono reso conto che se fossi andato giù, nella zona più in basso, come avrei voluto fare, probabilmente sarei stato ucciso da tutti i detriti che cadevano.

Pensavo, «cosa posso fare, sono un reporter, devo uscire, documentare questo evento». Ho raccolto le mie macchine fotografiche e ho iniziato a camminare verso il World Trade Center. Le strade però erano chiuse, c’era la polizia, le transenne: era diventato difficilissimo raggiungere Ground Zero.

Ho iniziato a camminare dal mio appartamento fino a Ground Zero, sarà mezz’ora a piedi… Il sentimento diffuso era quello di uno shock, di sconcerto. Le persone fuggivano via da quella parte di città, e anche io stavo correndo, ma nella direzione opposta. C’era nell’aria l’odore degli edifici in fiamme e di tutta quella polvere. Un odore che è rimasto nel quartiere per settimane. Quando ci siamo avvicinati a Ground Zero è diventato più intenso.

L’area era ricoperta da una specie di polvere bianca finissima, come fosse farina o zucchero. Ricordo di aver scattato delle fotografie attraverso il fumo e il fuoco. C’erano alcuni camion dei pompieri e auto della polizia che erano stati distrutti e coperti dai detriti. Erano arrivati per cercare di salvare altra gente e invece erano morti anche loro…

L’immagine che credo rappresenti davvero l’intera tragedia è una foto scattata la mattina del 12 settembre. Il cielo era rosso, somigliava all’inferno, in un certo senso. E c’era tutto quel metallo ritorto… e distruzione ovunque… Era l’alba e sembrava che l’intera area fosse in fiamme. E poi il fumo, gli uomini, i vigili del fuoco, i poliziotti, gli operai così minuscoli… C’erano tante piccole persone indifese che cercavano di aiutare e ogni cosa appariva uno sforzo impossibile.

La gente veniva a guardare i resti del World Trade Center. Sembravano tutti un po’ vuoti, c’era una sorta di tristezza, sguardi pieni di disperazione. Era come se una cappa di depressione fosse calata su tutta la città, come se ci fosse capitata una disgrazia dopo l’altra. Penso che chiunque fosse lì, tutti quelli che erano venuti a vedere con i loro occhi, fossero completamente sotto shock, il dolore si vedeva sui loro volti.

Nella mia carriera sono finito in diverse zone di guerra, ho seguito più volte quella civile in Libano, in Cambogia, sono stato a più riprese in Afghanistan. Quando partivo per realizzare il mio lavoro in questi Paesi, salivo su un aereo e per arrivarci dovevo fare il giro del mondo.

L’undici settembre, invece, per vedere cosa stava succedendo sono andato dal nono piano del mio palazzo fino al tetto, ho semplicemente spinto un pulsante sull’ascensore. Improvvisamente ti rendi conto che la guerra è nel tuo quartiere, il World Trade Center faceva parte del mio paesaggio. Perciò quando lo hanno attaccato e distrutto è stato proprio come se fosse stato un attacco personale, a me, alla mia casa. Potevamo sentire l’odore del fuoco che arrivava dal World Trade Center 24 ore al giorno, non se ne andava mai…. All’improvviso, è stato come se la guerra in Afghanistan mi avesse raggiunto fin dentro le mura domestiche…

Nel giro di poche ore, quasi subito, abbiamo capito che il piano era firmato da Al Qaeda e Bin Laden e che l’intero conflitto in Afghanistan era in qualche modo arrivato a casa mia. Quando è stata dichiarata guerra all’Afghanistan, pensavo fosse giusto trovare i colpevoli che avevano pianificato l’attentato… Sì, ho creduto che fosse ragionevole.

Col passare del tempo la situazione è cambiata, siamo rimasti lì per 20 anni. Ho iniziato a ritenere che fosse una sorta di giustificazione e poi le cose hanno fatto il loro corso… E forse non era quello giusto.