Scricchiolava già da un po’ di tempo. Ma nelle urne del 4 marzo il «sistema Trento» è stato letteralmente terremotato: una «valanga verde» ha spazzato via tutto e tutti. La Lega formato Salvini conta 106.982 voti nella provincia, elegge 5 parlamentari (su 8 del centrodestra) nella regione a statuto speciale e addirittura per appena 306 voti non diventa il primo partito a Bolzano.

È ANDATA IN FRANTUMI l’autonomia ereditata dalla Dc di Bruno Kessler e Flaminio Piccoli, nutrita dalla sussidiarietà nella storica diocesi, sfociata nel lobbismo inossidabile. Trento ha smesso, di fatto, di rappresentare il feudo insindacabile capace di spedire Giovanni Kessler alla direzione dell’Olaf (l’Agenzia anti-frode della Ue), l’ex rettrice Daria De Pretis alla suprema corte (nominata da Napolitano) e Ugo Rossi, già segretario del Partito autonomista trentino tirolese, al vertice della Regione.

All’ombra delle Dolomiti si è consumata fino in fondo la parabola di Lorenzo Dellai: sindaco di Trento a soli 29 anni, presidente della Provincia autonoma dieci anni dopo, inventore della Margherita ante litteram, coordinatore di Alleanza per l’Italia nel 2009, deputato di Scelta Civica nel 2013 e infine leader di Civica Popolare. Era candidato nel «suo» collegio di Pergine: non è andato oltre il 26%, umiliato da Maurizio Fugatti, segretario della Lega in Trentino, che ha trionfato con il 44,5% dei consensi.

«CI HANNO TRAVOLTO. È un cedimento strutturale. Il vento che soffia è quello delle due destre, Lega e M5S. Noi voteremo per le Provinciali a ridosso del varo del nuovo governo. E sappiamo bene che ogni esecutivo che nasce ha una luna di miele. I cittadini in ottobre non si saranno ancora resi conto del disastri che l’Italia subirà…», afferma Dellai, annunciando un tour porta a porta nei 40 Comuni proprio per arginare la slavina elettorale.

La Valsugana, insieme alla Val di Non, ha davvero rivoluzionato lo scenario politico. Ma il bollettino è impietoso anche a Trento: in città la Lega ha ottenuto 13.174 voti pari al 20,7%, mentre il Pd con 15.964 è incalzato dal M5S con 14.248. E a Bolzano, nonostante Maria Elena Boschi e la Svp, la formula «Salvini premier» vale il 15,7%. A Bressanone, la «bicicletta autonomista» Patt & Svp è scesa al 49,55% cioè sotto la soglia della maggioranza assoluta e la Lega ha registrato il 10,5%.

Per di più, a Roma andranno due donne. Giulia Zanotelli, mamma di 30 anni con piercing, è la deputata di Trento. E Vanessa Cattoi, 37 anni, impiegata e consigliere comunale di Ala, che ha stracciato nelle urne il professor Michele Nicoletti, segretario Pd e deputato uscente. «Abbiamo spazzato via il centrosinistra trentino…», tuona il leader Fugatti che così rientra a Montecitorio, dove nel 2006 era subentrato a Bossi.

San Romedio, protettore degli eremiti e anticipatore di Francesco, non è bastato a salvare l’anima della sussidiarietà trentina. Da sempre, l’auto-governo qui combaciava con lo «specchio italiano» dell’Alto Adige tedesco: le cooperative bianche, la rete delle casse rurali, la Cisl e le Acli, l’Istituto Sviluppo Atestino (cioè la «cassaforte», da 80 anni, della chiesa locale), la Fondazione Kessler e l’Università, manager al servizio di filiere nutrite dai finanziamenti pubblici. Un universo di interessi, poteri, lobby e fedeli che ha monopolizzato la vita dei trentini, dalla culla alla tomba.

UN SISTEMA CHIUSO CHE già implodeva. Lo dimostra la crisi di Sait, il consorzio delle coop: 76 società, 364 punti vendita, 1.800 dipendenti. È l’eredità di don Lorenzo Guetti che nel 1890 a Santa Croce di Bleggio fonda la prima «Famiglia coop». Oggi i conti non tornano, la nuova faraonica sede di via Innsbruck è costata più di 70 milioni e fioccano addirittura le lettere di licenziamento.

Un sistema che si ritrova alla sbarra. Lo certifica la definitiva condanna a 8 mesi del vertice della Cantina Lavis: il presidente Roberto Giacomoni, il direttore Fausto Peratoner con il vice Cesare Andermarcher hanno occultato la fidejussione da 12 milioni nell’acquisto di Casa Girelli. Operazione in tandem con ISA a interessi definiti usurai dalla Guardia di finanza…

Un sistema troppo «local» e poco futuribile. Allo Stato ogni residente in Trentino costa 7.638 euro, secondo i conteggi della Ragioneria Generale in base ai flussi del bilancio 2014 (in Lombardia solo 2.265…). E senza dimenticare le consulenze «allegre» o i vitalizi intoccabili, la provincia autonoma continua a incassare il 90% delle tasse che vengono restituite da Roma.

E IN AUTUNNO TUTTI I NODI verranno – insieme e senza più alibi – al pettine delle urne a statuto speciale. Trento si allinea fino in fondo al Nord Est monopolizzato da Salvini?

La «rivoluzione leghista» mette a repentaglio non solo le parrocchie politiche del centrosinistra: significa archiviare, fino in fondo, più di mezzo secolo di dorato isolamento.

Prima l’Italia oppure il Trentino?