Sette giovanotti da South London definiti da The Quietus la migliore band del pianeta: sotto la cenere dell’hype che li ha portati a suonare a festival come il Primavera di Barcellona e Glastonbury una tantum sembra pulsare un fuoco vivo. Consapevole dei meccanismi dilaganti e scivolosi della fama ai tempi dei social Isaac Wood, autodefinitosi moderno Scott Walker, canta: «Tutto ciò che sono diventato deve morire prima di diventare un thread». Bruciare e fare bottino: voce, doppia chitarra, violino, basso, batteria, tastiera e sax per sei pezzi che catturano l’energia ruvida e debordante di un ensemble capace di disegnare una musica caleidoscopica e urgente, sorvegliata ed austera ma sempre sull’orlo del collasso emotivo, ossuta ed ossessiva come nel singolo Science Fair, con il suo dettato da Slint dei sobborghi. Nulla di inedito in quanto ascoltiamo: echi post (rock e punk), ansie e ruggini art wave, ossessioni domestiche, fughe nel grigio; la differenza in questo caso la fanno l’inventiva, la personalità e la sfrontatezza. Uno scintillante esempio di come scrivere pezzi a presa istantanea che reclamano a gran voce un posto in un mondo cinico e incapace di stupore.