Un enclave idrico naturale senza sbocco sul mare nel cuore di un Paese arido che soffre siccità periodiche, scarsa disponibilità di acqua e una distribuzione spaziale delle precipitazioni medie annuali non uniforme. È Il Regno del Lesotho, una cascata a zig zag di strade su alte montagne che gli valgono il soprannome di tetto dell’Africa quale Paese più alto del continente. Nel più vasto territorio della Repubblica del Sudafrica, interrompendone la superficie di più di un milione e 220 mila chilometri quadrati, quella che così descritta sembrerebbe una gola profonda si erge invece a vedetta da picchi altissimi che arrivano a toccare punte di circa 3000 metri sul livello del mare.

Un regno montuoso con una superficie di circa 30,400 chilometri quadrati e in sostanza uno dei Paesi meno sviluppati al mondo, senza grandi risorse naturali fatta eccezione per l’acqua di cui si consuma meno del 6% sul mercato interno – secondo i dati del 2002 della European Investment Bank – che si stende sulla più grande economia dell’Africa, la Rainbow Nation, la quale però dispone di risorse idriche a singhiozzo con una parte considerevole della popolazione ancora senza accesso all’acqua potabile e a servizi igienici adeguati. Proporzioni che non si incontrano e culture lontane che in modo diverso soffrono bisogni e carenze contrastanti con budget milionari di interessi economici locali e internazionali.

Secondo i dati forniti da Water Technology, il Lesotho dispone di abbondanti risorse idriche che eccedono rispetto ai requisiti per eventuali futuri progetti di irrigazione e di sviluppo. Su una disponibilità totale infatti di circa 150 metri cubi al secondo, il consumo totale di acqua in Lesotho è di circa 2 metri cubi al secondo.

Un progetto redditizio

Il fiume Senqu, conosciuto anche come Orange River, scorre a circa 2.000 chilometri ad ovest della regione montuosa del Drakensberg del Lesotho attraverso il Sudafrica e verso l’Atlantico. Circa a metà, lungo il suo letto si unisce al fiume Vaal, che scorre da nord-est.

Nel 1950 l’Alto Commissario britannico per il Lesotho, Sir Evelyn Baring, individuò in quello che poi divenne il Lesotho Highlands Water Project (Lhwp) il modo più economico per fornire acqua al Sudafrica. A uno studio di fattibilità da parte dei due Paesi nel 1978, ne seguì uno più dettagliato condotto dal MacDonald Lahmeyer Consortium tra il 1983 e il 1986 a conferma che il progetto era economicamente redditizio e avrebbe permesso la produzione di energia idroelettrica. Con un accordo siglato nel 1986 il Sudafrica accettò di pagare i costi di deviazione delle acque e il Lesotho di finanziare i progetti idroelettrici.

Il costo totale del progetto ammonta a circa 8 miliardi di dollari e i finanziamenti sono stati emessi dalla Banca Mondiale, la quale coordina anche la mobilitazione di fondi da altri finanziatori tra cui l’African Development Bank, l’European Development Fund, la Development Bank of South Africa, banche commerciali e diverse agenzie di credito europee. Le operazioni della European Investment Bank in Lesotho rientrano in un mandato conferito dagli Stati membri dell’Unione europea nel quadro del secondo protocollo finanziario della IV Convenzione di Lomé – che regolava le relazioni di cooperazione dell’Unione europea (Ue) con i Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) – con il pieno sostegno della Commissione europea e gli Stati membri attraverso un comitato di rappresentanti, principalmente dai Ministeri per la Cooperazione allo Sviluppo.

Una rete di gallerie e dighe

Il Lesotho Highlands Water Project è il più grande progetto infrastrutturale tra Lesotho e Sudafrica e prevede la costruzione di una fitta rete di gallerie e dighe per deviare l’acqua dalle montagne del Lesotho in Sudafrica e fornire energia idroelettrica al Lesotho. Responsabili del monitoraggio del progetto sono due istituzioni pubbliche, la Lesotho Highlands Water Commission (Lhwc) – per i lavori complessivi di esecuzione del progetto come dighe, gallerie, centrali elettriche e infrastrutture alle frontiere del Lesotho e la Trans-Caledon Tunnel Authority ( Tcta ) responsabile in territorio sudafricano.

Prima del Lhwp la carenza cronica di acqua era particolarmente acuta nella ricca provincia del Gauteng, l’hub industriale del Sud Africa di cui fa parte anche la capitale Pretoria e Johannesburg. Con una popolazione di oltre 10 milioni di abitanti il Gauteng genera quasi il 60 % del Pil nazionale ma rimane una delle poche aree metropolitane del mondo lontana da qualunque fonte naturale di acqua.

La prima fase del Lhwp è stata completata nel 2004 e secondo quanto riportato a maggio 2013 al giornale locale Business Day dal ministro del Water and Environmental Affairs, Edna Molewa, il Sudafrica ha approvato la seconda fase del progetto per un totale di 1,3 miliardi dollari. La nuova diga, la cui conclusione dei lavori è prevista per il 2020, fornirà un extra di 45,5 metri cubi di acqua al secondo al Sudafrica che sarà destinata alle nuove miniere in Lephalale, il più grande comune della provincia del Limpopo, e a progetti infrastrutturali nello Steelpoort nella stessa provincia, mentre genererà 1.000 megawatt di elettricità per il Lesotho.

Ma mentre il South African Federation of Civil Engineering Contractors ha accolto favorevolmente la notizia, agli inizi di dicembre il quotidiano locale del Lesotho Sunday Express riportava testimonianze e preoccupazioni sui contrasti tra la Lesotho Highlands Development Authority e gli abitanti del posto, soprattutto dei villaggi che si trovano alla confluenza tra i fiumi Khubelu e Senqu nella regione Polihali, in merito ai risarcimenti previsti dal progetto come compensazione per gli effetti di impatto ambientale e sociale derivanti dalla costruzione delle dighe, sui disagi delle comunità dei villaggi Ha Matala e Ha Makotoko in Thaba-Bosiu che sono stati reinsediati dalle zone di Katse e Mohale, dove cioè sono state costruite una diga, la Katse Dam sui Monti Maluti e la centrale idroelettrica di 72Mw Muela, la diga Mohale sul fiume Senqunyane, oltre a 32 km di tunnel di collegamento tra i due bacini idrici del Katse e del Mohale.

Le comunità denunciano che da quando sono iniziati i lavori nella zona di Polihali, il Lhda ha rifiutato di mostrare le mappe che delineano i nuovi confini dei villaggi colpiti dalla costruzione della diga.

La costruzione della diga di Polihali e della stazione idroelettrica di Kobong, parte di un mega progetto siglato nell’agosto 2011, avrà un impatto non indifferente sulle attività delle comunità di Mokhotlong Polihali, sulle loro case, i loro campi, i pascoli, i boschi e le superfici adibite alla coltivazione del thatching con cui nella zona si costruiscono soprattutto i tetti delle abitazioni.

Benché il Lhwp preveda sulla carta impegni di consultazione delle parti direttamente e indirettamente interessate e costi di compensazione per coprire tra l’altro le perdite di beni materiali come le abitazioni, delle risorse agricole come alberi e terreni coltivabili, le rendite in denaro, grano e legumi e di risorse comunitarie come scuole e infrastrutture pubbliche, di fatto però, secondo le testimonianze riportate dalla stampa locale e da organizzazioni non governative tutto questo resta solo un miraggio e un impegno disatteso.

Stando ai dati forniti dalla ong locale Transformation Resources Centre (Trc), circa 27 mila persone hanno subito danni in seguito alla costruzione della diga di Katse, mentre 325 famiglie sono state forzate a trasferirsi per far posto alla diga di Mohale inaugurata nel marzo 2004 dal re Letsie III e l’allora presidente sudafricano Thabo Mbeki.

Altro che vantaggi e tutele

In uno studio pubblicato nel 2006, On the wrong side of development. Lessons learned from the Lesotho Highland Water Project, Trc evidenzia come invece che garantire vantaggi alle comunità locali come posti di lavoro, strade migliori, crescita del turismo, approvvigionamento idrico e tutela ambientale, il progetto ha portato benefici minimi in termini di risarcimenti – ritardati e insufficienti – impoverimento delle aree rurali, condizioni inaccettabili di reinsediamento il quale ha contribuito notevolmente invece a sradicare le comunità locali dal loro habitat sociale e ambientale naturale, stravolgendone ritmi di vita e di lavoro, strutture famigliari e sociali, tradizioni e le già povere attività agricole di sostentamento. E costringendole a un adattamento forzato in nuove comunità di cultura differente con cui l’integrazione non è sempre pacifica. Per etnie che si tramandano l’abitazione di generazione in generazione e fortemente radicate nel contesto ambientale, costituisce un dramma vivere come sfollati e stranieri in case prefabbricate, strappate al proprio vicinato, ai propri campi e senza una fonte di reddito quali sono i pascoli e le terre coltivabili.

Una storia non nuova come spesso accade per progetti multimilionari che spesso includono anche vicende di corruzione. Come in questo caso, che vede il diretto coinvolgimento anche di un colosso nazionale italiano delle costruzioni come la Impregilo. Già multata con 1,5 milioni di euro nel 2006 dalla Corte del Lesotho nel processo per corruzione in merito all’aggiudicazione di appalti nell’ambito del Lesotho Highlands Water Project, per aver impedito l’acquisizione di una serie di documenti che avrebbero fatto luce sui pagamenti illeciti eseguiti negli anni novanta dall’intermediario della vecchia Impregilo.

Il 14 Dicembre 1990 l’Lhda e la Highlands Water Venture (Hwv) – un consorzio di aziende di cui Impregilo era capofila – avevano concluso un accordo per cui la Lhda ha aggiudicato l’appalto per la costruzione della diga di Katse a Hwv. Successivamente all’aggiudicazione, pagamenti contrattuali della Lhda sono stati effettuati dalla Hwv a Jacobus Michiel du Plooy, consulente sudafricano per Impregilo, che a sua volta ha fatto i pagamenti a Masupha Sole, l’allora direttore generale della Lhda.

Pagamenti ovvero tangenti

I pagamenti fatti da Du Plooy erano in realtà tangenti pagate a Sole al fine di convincerlo a esercitare la sua influenza per far aggiudicare il contratto a Hwv.

Stando a quanto riportato dal BusinessReport di Iol, a luglio 2013 Impregilo è stata citata in giudizio da un imprenditore con l’accusa di non aver onorato il suo impegno di pagargli la commissione per aver aiutato il consorzio composto da Impregilo, la Cmc di Ravenna e la società di costruzioni Pv Mavundla ad aggiudicarsi un contratto in una gara d’appalto della Eskom. Appalto per Ingula, che si trova a circa 23 chilometri a nord-est di Van Reenen, effettivamente vinto dal consorzio Impregilo il 31 marzo 2009.

Sipho Mahamba avrebbe incontrato due dirigenti di Impregilo a Milano dove sarebbe stato concluso un accordo verbale sul suo pagamento di 6 milioni di euro come commissione per il suo lobbying sulla Eskom.

A luglio 2013 la Cassa depositi e prestiti (Cdp), Sace, Bnp Paribas Corporate and Investment Banking e Hsbc Bank plc hanno annunciato la finalizzazione di due finanziamenti per un totale di 300 milioni di euro a favore di Eskom Holdings Soc Limited (Eskom), la public utility sudafricana dell’energia.

L’importo è destinato a finanziare il pagamento di una parte del contratto commerciale firmato con Cmc in joint venture con Impregilo e la società locale Mavundla per la realizzazione dei lavori sotterranei connessi alla centrale idroelettrica di Ingula.

Nell’ambito dell’operazione, il gruppo assicurativo-finanziario Sace ha interamente garantito un primo finanziamento di 165 milioni di euro messo a disposizione da un pool di banche che coinvolge Kfw Ipex-Bank, Hsbc bank plc, UniCredit Bank Austria e Bnp Paribas, quest’ultima con il ruolo di banca agente e un secondo finanziamento di 135 milioni di euro erogato interamente da Cdp, nell’ambito del sistema Export Banca. La centrale, situata nella catena montuosa del Drakensberg, tra il Kwa Zulu Natal e il Free State, a circa 350 km a sud-est di Johannesburg, ha una capacità di produzione energetica di 1.322 Mw.