Aspettando Cecil Taylor. Questo potrebbe essere il titolo della prima giornata del festival Ai confini tra Sardegna e jazz, ventottesima edizione (fino al 31 agosto, inizio con United Vibrations e Anthony Joseph). Ma sarebbe un titolo giusto e sbagliato nello stesso tempo. Perché quest’anno la rassegna di Sant’Anna Arresi – coraggiosa, avanzata – ha un suo titolo complessivo molto importante: «Saturno chiama, Sant’Anna Arresi risponde. L’eredità musicale di Sun Ra«. Insomma, si tratta di ascoltare in dieci giorni ciò che sanno fare musicisti diversissimi sulla scia del pensiero di uno dei più geniali (irrefrenabili) inventori di suoni che il jazz e l’intero ‘900 artistico abbiano conosciuto. Immenso immaginifico mutevole. Compositore (coordinatore-motivatore di improvvisatori), bandleader, pianista, Sun Ra ha frequentato l’avanguardia del free arricchendola di azzardi, complessità e spregiudicatezze, l’ha miscelata o alternata a scorribande swing, afro, persino disco.
Ma Cecil Taylor che cosa c’entra? Infatti non c’entra. L’ottantaquattrenne pianista fa storia a sé. Nel cartellone figura come la star assoluta. Si esibirà «fuori tema» il 28 agosto in solo, nella stessa sera in cui lo scrittore e vocalista recitante Amiri Baraka sarà in scena con l’ensemble di Dimitri Grechi Espinoza. Nella sua carriera Taylor si è ispirato alle percussioni africane (se è per questo, anche Sun Ra…), a Ellington, a Monk, a Bartòk. Agli atonali europei, della prima e della seconda avanguardia novecentesca? Ascoltando le sue improvvisazioni o composizioni istantanee, spesso (in passato) frenetiche, giocate su vertiginose distese di note e su dissonanze sistematiche, si direbbe di sì. Lui lo nega, o meglio: rivendica l’autonomia della sua ricerca, quella di un afroamericano cresciuto nei jazz-club, con grandi sofferenze prima che nelle accademie. «Sento dire che io guarderei all’Europa, ma chi vede al di là del suo naso sa benissimo che sono gli europei a guardare verso il jazz», dice a metà degli anni ’60 al critico A. B. Spellman (Quattro vite jazz, Minimum Fax, 2013).
Con Sun Ra hanno molto a che fare, in maniera assai diretta, i quindici strumentisti che formano la Sun Ra Arkestra. Abbiamo letto bene? Proprio lei, la creatura musicale che con i più svariati nomi Herman Sunny Blount, poi ribattezzatosi «re dello spazio astrale», nato nel 1914 (pare) e morto nel 1993, diresse, anzi plasmò a sua immagine e somiglianza? E come è possibile? Non è possibile. Ma Marshall Allen, sassofonista, uno del trio delle meraviglie alle ance con John Gilmore e Pat Patrick in quella quasi quarantennale Arkestra, dalla morte del grande leader ha voluto tenere in vita il nome e qualcosa della fantasmagorica formazione. Qualcosa o molto? Lo sapremo nella serata finale.
C’è una specie di festival nel festival in questa edizione. Tre serate, 26, 27 e 28, sono dedicate a Rob Mazurek. Virtuoso (molto misurato) di cornetta e manipolatore di elettronica, il quarantottenne compositore americano è uno degli uomini jazz del momento. Vince referendum (anche quello della rivista Musica jazz), viene ammirato per la sua ecletticità non separata dalla sua propensione alla sperimentazione. Lo ascolteremo in trio col gruppo Sao Paulo Underground (qualche tinta latina, ma niente di scioccamente popular), in quartetto con il Pulsar Quartet Magic Saturn, a capo della Exploding Star Orchestra (il lato post-free di Mazurek e una suite in prima mondiale, Galactic Parables).
Alla ricerca del tempo attuale di Sun Ra ascolteremo altri importanti musicisti come il sassofonista Greg Ward, il cornettista Taylor Ho Bynum, la violoncellista Tomeka Reid, la chitarrista Mary Halvorson, il percussionista Mike Reed. Tutti riuniti nell’ensemble chiamato come un racconto: Living by Lanterns New Myth Old Science e guidato dal vibrafonista Jason Adasiewicz e da Mike Reed (il 25). E poi, domani, gli afro-elettronici Talibam con ospite il prodigioso trombettista