Il 9 maggio 2017 la Ruzzo Reti Spa, gestore del sistema idrico nella provincia di Teramo, in Abruzzo, ha comunicato che «a seguito dei prelievi effettuati stamane al traforo del Gran Sasso l’Agenzia Regionale per la Tutela dell’Ambiente ha giudicato l’acqua in uscita non conforme, pertanto il Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione della Asl di Teramo ha disposto l’uso per soli fini igienici». Traduzione: l’acqua del rubinetto non si può bere. È stato subito caos, fino al giorno dopo, quando, a seguito di nuove analisi, la Prefettura ha dichiarato chiusa l’emergenza.

COME È STATO POSSIBILE arrivare a vietare il consumo di una delle migliori acque del Paese? La storia inizia molti anni fa. L’acquifero del massiccio del Gran Sasso, cuore di un parco naturale, fornisce acqua a circa 700 mila abruzzesi attraverso un complesso sistema di captazioni. Una riserva d’acqua tra le maggiori d’Italia posta però a contatto con due potenziali fonti inquinanti: tra il 1968 e il 1993, infatti, sotto il Gran Sasso sono stati costruiti due tunnel dell’A24 Teramo-Roma di circa 10 km ciascuno, gestiti oggi da Strada dei Parchi SpA, e i Laboratori sotterranei dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), classificati sin dal 2002 impianto a rischio di incidente rilevante e per i quali si applica il D.Lgs. n. 105/2015 (Direttiva Seveso ter).

La realizzazione di queste opere comportò, oltre alla morte di 11 operai per vari incidenti (il più grave per un crollo causato dalla pressione dell’acqua intercettata durante gli scavi), un danno irreparabile alla falda che si è abbassata di circa 600 metri. Agli inizi degli anni 2000 il governo Berlusconi finanziò la costruzione di un terzo traforo di servizio e l’ampliamento dei laboratori. Questi progetti, che avrebbero nuovamente danneggiato l’acquifero, furono contrastati da un ampio movimento che coinvolse gran parte degli abruzzesi. Furono sollevati dubbi sulla sicurezza del sistema di captazione: il Wwf rese pubblico l’elenco delle sostanze pericolose stoccate nei Laboratori e portò alla luce documenti che attestavano come si fossero verificati negli anni diversi incidenti durante gli esperimenti, mentre Legambiente diffuse il video di uno sversamento in un affluente del Vomano, principale fiume del teramano.

Le istituzioni fecero a gara per negare qualsiasi pericolo, clamorosamente smentite il 16 agosto 2002 quando del trimetilbenzene, utilizzato per l’esperimento Borexino, si riversò nell’acqua in distribuzione finendo persino nelle fontane dei comuni costieri. Seguì il sequestro dei Laboratori e l’avvio di un processo conclusosi con l’applicazione concordata della pena con patteggiamento nei confronti, tra gli altri, del direttore dei Laboratori e del legale rappresentante dell’Infn.

NEL MAGGIO 2003 la Presidenza del Consiglio nominò Angelo Balducci commissario straordinario per la messa in sicurezza dell’acquifero. Ne conseguirono la rinuncia a qualsiasi ipotesi di nuovo traforo o ampliamento dei Laboratori (i soldi furono dirottatati sulla messa in sicurezza), ma anche la fine di ogni possibilità di informazione su quanto si stava facendo.

Fu garantito che l’acquifero del Gran Sasso era ormai sicuro, ma purtroppo non era così. La crisi del maggio 2017, preceduta qualche mese prima dalla decisione della Giunta Regionale di evitare per un periodo la distribuzione delle acque del Gran Sasso perché risultate contaminate da solventi, ne è stata la prova: il sistema di approvvigionamento idrico era permeabile. Un pericolo, considerata la contiguità con i Laboratori dove sono stoccate migliaia di litri di sostanze pericolose e con le gallerie autostradali dove anche l’utilizzo di una vernice per la segnaletica può costituire un problema.

LE RAPPRESENTANZE LOCALI delle associazioni ambientaliste e dei consumatori (Wwf, Legambiente, Mountain Wilderness, Arci, ProNatura, Cittadinanzattiva, Gadit, Fiab, Cai, Italia Nostra e Fai) hanno così deciso di creare un Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, con lo scopo di consentire ai cittadini di essere informati, in una logica collaborativa con gli enti competenti.
Risposta? Un muro di gomma! L’Osservatorio ha organizzato decine di eventi pubblici, fino alla Manifestazione per l’acqua trasparente, un grande corteo che l’11 novembre 2017 ha attraversato le strade di Teramo per chiedere sicurezza e partecipazione. Nonostante ciò, la Regione Abruzzo ha impedito anche solo di assistere ai lavori della Commissione per l’emergenza idrica del Gran Sasso, riattivata dopo anni di oblio.

LE ASSOCIAZIONI HANNO ACQUISITO la relazione finale del commissario Balducci, che attesta come gli oltre 80 milioni siano stati utilizzati per interventi che hanno riguardato solo una minima parte delle problematiche riscontrate (impermeabilizzati 1,2 km di galleria sui circa 20 esistenti). Persino il sistema di comunicazione tra gli enti è risultato carente visto che solo il 7 settembre 2017 è stato firmato da Regione, Infn, Strada dei Parchi e altri il Protocollo per la gestione delle fasi di comunicazione, autorizzazione e allerta da seguire preventivamente alla realizzazione di interventi che possano comportare rischio di pregiudicare la qualità delle acque del sistema idrico del Gran Sasso. Un protocollo che ha subito mostrato dei limiti visto che la stessa Regione, poche settimane dopo, dichiarava di essere stata tenuta all’oscuro di una prova di trasporto di materiale radioattivo verso i Laboratori per un progetto poi bloccato.
La Commissione ha portato avanti i suoi lavori a rilento e solo a fine gennaio 2019 la Giunta regionale ha approvato una delibera che individua le attività urgenti e indifferibili per la gestione del rischio nel sistema idrico del Gran Sasso. Un anno e mezzo per arrivare ad avere dei progetti da parte di Strada dei Parchi e Infn che ora dovranno essere valutati e finanziati con circa 170 milioni di euro. Un primo passo importante, ma la dismissione degli esperimenti con l’utilizzo di sostanze pericolose è rimandata alla fine del 2020! Nel frattempo, la Procura di Teramo ha aperto un’inchiesta, chiedendo una consulenza tecnica sullo stato dell’acquifero e sulle modalità con cui le sostanze inquinanti sono venute a contatto con l’acqua potabile. In seguito agli esiti di questa perizia sono state iscritte nel registro degli indagati 10 persone tra i vertici di Infn, Laboratori, Strada dei Parchi e Ruzzo Reti. Nell’atto di conclusione delle indagini si legge che gli indagati, «ciascuno tenendo nei rispettivi ambiti di competenza le condotte colpose di seguito specificate, abusivamente cagionavano o comunque non impedivano e, in ogni caso, contribuivano a cagionare o a non impedire, un permanente pericolo di inquinamento ambientale e, segnatamente, il pericolo di compromissione o deterioramento significativo e misurabile delle acque sotterranee del massiccio del Gran Sasso».