La natura ama nascondersi, gli uomini un po’ meno. Osserviamo con stupore un paesaggio che pare incontaminato. Cavalli che sembrano in totale armonia con il loro luogo d’appartenenza. Se non fosse per l’irruzione di un’inquietante e dannosa specie animale apparsa sulla Terra per creare scompiglio, caos. Uomini che pongono sopra ogni cosa le loro bieche necessità, che si tratti di cavalcare una cavalla che a sua insaputa deve rimanere pura e lontana dal sesso, o di bere una vodka a qualsiasi costo, anche attraversando il mare sopra un povero equino, o di tagliare una recinzione fatta di filo spinato.

Le Storie di cavalli e di uomini del regista islandese Benedikt Erlingsson, qui al suo esordio cinematografico, raccontano di un’umanità ostinata nella sua inconsapevole autodistruzione. Beninteso, nulla a che vedere con le nefaste azioni che oggi come ieri bruciano vite in ogni angolo del pianeta. Nel film, che in Italia arriva a due anni dalla sua realizzazione e dalle numerose presentazioni nei festival internazionali, si narra di un’umanità più stolta che angosciata, irretita nel proprio personalissimo microcosmo.
Erlingsson mette in fila una serie di episodi che testimoniano una brutale quanto banale stupidità.

Si potrebbe ridere dei personaggi che vediamo alternarsi sullo schermo, e infatti è inevitabile, ma poi ci si dovrebbe trattenere nel caso si cogliesse che dietro quell’inettitudine, messa in scena abilmente, si cela la nostra stessa incapacità di saper ampliare lo sguardo, di prendere le distanze per osservare oltre i nostri stessi bisogni. Ma si perde continuamente la vista come accade a uno dei protagonisti o si finisce in un precipizio come accade a un altro. Il mondo si contrae, diventa terra di piccole e misere ambizioni o di futili vanti. Ciò che poi a ognuno accade intorno, è frutto di casualità, per lo più luttuose, al punto che viene da chiedersi quanto tempo potrà durare la presenza umana in quel paesino, se ogni azione porta a un funerale.

Nel giro di una settimana escono due film islandesi: Rams e, appunto, Storie di cavalli e di uomini. Una coincidenza evidentemente, dal momento che le distribuzioni sono diverse, BIM nel primo caso, PFA nel secondo. Meno causale sembra che in entrambi i film al centro del racconto vi sia il rapporto tra uomini, animali e natura. Si potrebbe pensare che sia quasi scontata una fascinazione del genere per un paese che meno di dieci anni fa ha vissuto una crisi economica di proporzioni tragiche. Tuttavia, soprattutto per il film di Erlingsson, non si può affatto parlare del desiderio di un ritorno alle origini, di un richiamo a una vita più semplice. Al contrario, il regista islandese in questo piccolo racconto, solo in apparenza rapsodico, toglie di mezzo ogni considerazione globale e punta il suo sguardo critico verso il nostro modo di rinchiuderci in una caverna circondati dalla sola nostra ombra, anche negli spazi aperti sotto il cielo d’Islanda.