Kishida Fumio ce l’ha fatta, battendo non solo l’opposizione ma anche tutti i pronostici. Le elezioni dei 465 seggi della camera bassa tenutesi domenica sono state il primo banco di prova per il nuovo premier del Giappone, insediatosi appena a inizio ottobre. Gran parte dei sondaggi prevedevano una sostanziosa emorragia di voti per il governo guidato dal Partito liberal democratico (Ldp) e Kishida stesso aveva fissato la soglia minima della vittoria a 233 per la coalizione di governo, composta dall’Ldp e dal partito d’ispirazione buddhista Komeito. La realtà del voto però è stata un’altra, con l’Ldp a quota 261 seggi (a cui vanno aggiunti i 32 seggi del Komeito) e col maggior partito di opposizione che ha addirittura perso seggi nonostante l’alleanza stipulata con gli altri partiti della sinistra giapponese.

La vigilia del voto era stata particolarmente tormentata per Kishida: non solo il tasso di approvazione del suo governo appena formato aveva deluso le attese, rivelandosi al di sotto del 50%, ma l’opposizione era riuscita per la prima volta ad elaborare una strategia elettorale comune in modo tale da aumentare la competitività dei propri candidati nei distretti uninominali in cui la legge elettorale in prevalenza maggioritaria suddivide il Giappone. Solo pochi giorni prima del voto, il quotidiano Nikkei Asia riportava che circa il 40% di questi distretti erano ancora in bilico.

Il successo dell’Ldp, che è riuscito a limitare le perdite al minimo, è quindi un sospiro di sollievo per Kishida. L’analisi del voto, poi, dovrebbe suggerire ulteriori motivi di ottimismo per il premier giapponese e per il suo partito. In primis, l’opposizione unificata non ha sfondato come pronosticato: il coordinamento tra Partito costituzionale democratico (Cdp), il Partito comunista e altri piccoli partiti progressisti non ha convinto gli elettori “anti-Ldp”. Anzi, l’alleanza coi comunisti è stata veementemente criticata dal principale sindacato del Giappone. Alla fine, i potenziali elettori dell’opposizione in gran parte sono rimasti a casa, contribuendo così a tener bassa l’affluenza (attestatasi attorno al 56%) nella quale la “macchina da voti” dell’Ldp ha prosperato, oppure hanno deciso di orientarsi su altre opzioni, come suggerito dal fatto che il partito regionalista-liberista Nippon Ishin ha quasi quadruplicato i propri seggi. Il secondo elemento che rassicura i vertici dell’Ldp è il fatto che tra gli elettori indipendenti, che non si identificano in nessun partito e che compongono la maggioranza dei votanti, Cdp e Ldp hanno ottenuto percentuali molto simili: non c’è stata infatti la valanga di voti indipendenti in favore del Cdp che nell’ultima settimana era stata temuta dall’Ldp. Un buon segnale in vista delle prossime elezioni per la camera alta in programma per la prossima estate.

Se nel proprio primo mese di governo Kishida era apparso molto dipendente dalle complesse dinamiche tra le fazioni dell’Ldp (a cui doveva la propria vittoria nelle primarie di fine settembre), dopo il voto di domenica il premier dovrebbe poter assumere una statura tale da permettergli di asserire una maggior autorità sul proprio partito. Inoltre, il peso di alcuni importanti capipartito con cui Kishida era stato costretto a venire a patti è stato drasticamente ridimensionato dopo che questi sono stati sconfitti nel proprio distretto uninominale: Amari Akira, segretario generale dell’Ldp da appena un mese, si è infatti dimesso dalla carica dopo la propria sconfitta. Per il premier quindi si aprono spazi di manovra politica che fino a domenica non sembravano possibili e che Kishida potrà sfruttare per promuovere la propria agenda politica. In questo senso sarà da osservare sia il contenuto del pacchetto di stimoli economici che verrà presentato nelle prossime settimane, sia quello del budget per il prossimo anno fiscale da approvare entro marzo che dovrebbe dare forma alla visione del premier di un “nuovo capitalismo” basato sul binomio redistribuzione-crescita.

Il grosso punto di domanda invece è il futuro della sinistra giapponese. Sicuramente ci sono stati molti fattori che hanno contribuito alla sconfitta dell’opposizione unificata, ma il più importante di tutti è stata l’incapacità fatale di convincere gli elettori strappandoli all’astensionismo e riportandoli al voto. I partiti della sinistra si trovano quindi davanti a un bivio. Da una parte si va verso l’abiura della cooperazione elettorale, che però riporterebbe le forze di sinistra a dividersi e indebolirsi a vicenda. Dall’altra si va verso l’approfondimento della collaborazione in modo tale da renderla un fattore ben più duraturo di una tornata elettorale nella politica giapponese. Quale delle due strade deciderà di prendere la sinistra dipende largamente dalle lezioni che le dirigenze dei partiti di opposizione trarranno dal voto di domenica: è stato un progetto corretto anche se è mancato il tempo per farsi conoscere dagli elettori? O il coordinamento tra Cdp e comunisti è troppo da digerire per l’elettorato anti-Ldp che si identifica nell’area moderata?

Domande che pesano, e dalle cui risposte dipende l’evoluzione del sistema partitico del Giappone per il prossimo decennio.