L’interruzione del lungo digiuno contro la “detenzione amministrativa” da parte di 63 prigionieri politici palestinesi, è stata annunciata nella notte tra martedì e mercoledì. In quelle stesse ore i militari israeliani proseguivano, con pugno di ferro, l’operazione “Brother’s keeper” cominciata dopo la scomparsa due settimane fa, nel sud della Cisgiordania, di tre studenti di un istituto religioso ebraico, situato in una colonia israeliana. Per il governo Netanyahu sono stati rapiti da Hamas. Il movimento islamico applaude al possibile sequestro ma nega un suo coinvolgimento. Nelle ultime 24 ore, almeno 17 palestinesi sono stati strappati alle loro famiglie, tra i quali i deputati, Khalid Tafish e Anwar Zaboun. Dalla scomparsa dei tre giovani israeliani a oggi, oltre 500 palestinesi sono stati incarcerati. Il totale fatto dagli israeliani è più basso: 400. Cinque gli uccisi, durante raid compiuti in campi profughi e villaggi. Decine i feriti. Dodici invece sono state, sempre nella notte tra martedì e mercoledì, le incursioni aeree israeliane contro Gaza, dopo il lancio di razzi palestinesi. Bombe e missili hanno fatto alcuni feriti. C’è anche una bimba morta, ma fonti locali spiegano che è stata uccisa all’esplosione di un razzo palestinese difettoso, caduto all’interno di Gaza.

 

«Hanno vinto i detenuti che hanno attuato lo sciopero della fame. E’ una vittoria di tutti i palestinesi», ha proclamato il ministro dei prigionieri dell’Anp, Shawki al Issa, commentando ieri la fine della protesta. «E’ solo una sospensione, il digiuno riprenderà se gli israeliani non rispetteranno l’accordo», ha aggiunto il ministro. Le autorità israeliane si sarebbero impegnate ad utilizzare la “detenzione amministrativa” (senza processo e prove) solo per due volte consecutive, quindi per un anno. Dopo questo periodo il detenuto dovrà essere rinviato a giudizio e processato o liberato. La “vittoria” di cui parla il ministro al Issa perciò è vera solo in parte. Israele non ha eliminato dal suo ordinamento la detenzione amministrativa che il diritto internazionale riconosce solo in casi eccezionali e che contro i palestinesi sotto occupazione è attuata in modo sistematico.

 

Sono oltre 200 i prigionieri amministrativi in carcere, un numero che negli ultimi giorni è salito a 300 poichè un centinaio dei palestinesi bloccati durante “Brother’s keeper” sarebbero sottoposti a questa misura cautelare. La lotta che Samer Issawi ha simboleggiato tra il 2012 e il 2013, con il suo lungo sciopero della fame (266 giorni), e che prima e dopo di lui hanno portato avanti altri detenuti, non ha raggiunto ancora il suo obiettivo. Lo ha ammesso ieri Issa Qarake, il presidente dell’associazione degli ex detenuti politici palestinesi. «Non si può parlare di vittoria, al momento i risultati sono limitati», ha detto Qarake. Occorre tenere presente che lo sciopero della fame, attuato per oltre 60 giorni, ha ricevuto un ampio sostegno sui social mentre nelle strade dei Territori occupati ha ottenuto sostegni parziali e l’adesione solo di una parte dei circa 5mila palestinesi rinchiusi nelle carceri israeliane. Limitato è stato anche il sostegno alla protesta dell’Anp di Abu Mazen che, peraltro, con notevole ritardo, si è rivolta all’Onu per chiedere che Israele cessi l’impiego della detenzione amministrativa contro i palestinesi. «L’atteggiamento dell’Anp non sorprende», ha detto al manifesto un attivista palestinese che ha chiesto di rimanere anonimo, «forme di detenzione amministrativa sono praticate dagli stessi servizi di sicurezza palestinesi che non di rado tengono in carcere, per settimane e senza prove, simpatizzanti di forze politiche di opposizione, a cominciare da quelli di Hamas».

 

A Gaza nel frattempo si lotta, tra raid aerei e lanci di razzi, per evitare lo stop dell’unica centrale elettrica. Un accordo dovrebbe consentire l’importazione di 250mila litri di gasolio industriale in modo da tenere accese le turbine e scongiurare l’ennesima crisi energetica. Ma la centrale ha bisogno di quantità ampiamente superiori di gasolio per continuare a produrre un terzo della corrente elettrica di cui ha bisogno Gaza. I dieci milioni di dollari donati dal Qatar qualche mese fa sono finiti e all’orizzonte non si vedono per ora altri generosi donatori. Emergenza anche nella sanità. Il ministero della salute di Gaza riferisce che 122 medicinali sono introvabili ed altri 91 lo saranno nelle prossime settimane.