Ieri notte è scaduto l’ultimatum che le autorità ucraine avevano rivolto nei giorni scorsi ai dimostranti: schiodarsi dalla piazza, sgomberare il municipio di Kiev (occupato dall’inizio della protesta) e togliere il blocco ai palazzi del potere. Mentre scriviamo non sappiamo com’è andata a finire. Può darsi che le forze di sicurezza, schierate negli snodi cruciali della capitale ucraina, siano entrate in azione con ulteriore risolutezza rispetto a lunedì (irruzione nel partito della Tymoshenko e rimozione di qualche blocco) e alla mattinata di ieri, durante la quale si sono registrare delle colluttazioni, con qualche ferito. Se fosse successo questo, l’Ucraina potrebbe diventare persino più instabile.
Se invece non fosse successo, significherebbe che si cerca ancora di negoziare e che dunque la pressione della polizia e dei reparti speciali dell’Interno (Berkut) può rientrare in un copione che il presidente Yanukovich ha steso per comprare tempo e vedere come uscire da questa situazione senza graffiarsi troppo. In altre parole, la militarizzazione di Kiev gli servirebbe a rafforzare il suo potere negoziale. Molti osservatori sostenevano ieri che sarebbe controproducente se scattasse la prova di forza proprio mentre Catherine Ashton, la responsabile della politica estera dell’Ue, è in visita a Kiev. Ashton è arrivata ieri (rimarrà anche oggi) e oltre a una puntata in piazza dell’Indipendenza, luogo simbolo della protesta, ha avuto colloqui sia con l’opposizione che con Yanukovich. Quest’ultimo ha spiegato che è sua intenzione riprendere i negoziati con l’Ue, che lui stesso aveva bocciato il 21 novembre, facendo esplodere la rabbia popolare. «Vogliamo raggiungere delle condizioni che soddisfino l’Ucraina, i produttori ucraini e il popolo. Se troveremo comprension, metteremo la firma», ha precisato. Decodificando il messaggio, Yanukovich ha fatto capire che, così com’è, il pacchetto sugli incentivi commerciali e sul libero scambio che l’Ue aveva messo sul tavolo non va bene. Occorre rivederlo, mettendo a punto clausole che non penalizzino troppo l’industria locale (che non è in grado di competere sui mercati europei) e prevedendo incentivi finanziari, immediati, che scongiurino il crack dell’Ucraina. Trovare l’intesa sarà molto difficile. Bruxelles, del resto, non intende farsi dettare il testo da Yanukovich. Inoltre c’è da capire se la scarcerazione della Tymoshenko, condizione vincolante che gli europei avevano legato alle intese, resterà tale.
Non basta. C’è da chiedersi anche come Yanukovich voglia muoversi sul fronte russo. Non è mistero che Putin percepisca gli accordi proposti da Bruxelles come un qualcosa di totalmente alternativo alla sua proposta di Unione doganale nello spazio post-sovietico. Su questo punto è sempre stato perentorio. Se Yanukovich sceglie l’Europa non può più cercare la sponda di Mosca, con tutte le conseguenze economiche, energetiche e politiche che ne conseguirebbero.
Ieri il presidente ucraino ha ammesso che non c’è scelta, se non mantenere strette relazioni economiche con la Russia. La domanda – ancora senza riposta – è sempre quella: come mettere d’accordo Bruxelles e Mosca? Come farsi scucire da entrambe i soldi che servono a tenere su la baracca? Se Yanukovich continua a livello internazionale con la politica dei due forni, sul piano domestico sta dosando bastone e carota. Ieri, al termine dell’incontro con i suoi tre predecessori, Viktor Yushchenko, Leonid Kuchma e Leonid Kravchuk ha spiegato che i membri delle forze di sicurezza che sabato scorso hanno pestato la gente verranno puniti, ma che anche i dimostranti più inclini alla violenza non la passeranno liscia, sostenendo che la chiamata alla rivoluzione è una minaccia alla stabilità nazionale, proprio mentre la Duma, la camera bassa del parlamento russo, approvava una risoluzione di condanna alle pressioni occidentali nei confronti dell’Ucraina, paese fratello. Intanto si accatastano più ipotesi su come sbloccare il braccio di ferro con l’opposizione: rimpasto, dimissioni del governo, tavola rotonda nazionale. Ma anche qui, al momento, non sembrano esserci troppi spiragli.