C’è un fattore che, metodicamente, riesce a mandare in tilt tutte le nostre previsioni della vigilia. È il fattore P, e riguarda la partecipazione degli elettori alle urne. È ormai da qualche anno che, in diverse elezioni nazionali, l’affluenza rimbalza positivamente verso l’alto, ma non siamo ancora riusciti a spiegarne fino in fondo le ragioni. È successo, per esempio, nel 2017, in Austria, Germania, Olanda e in Norvegia oppure, più di recente, in Spagna nelle consultazioni di un mese fa. Oggi, è successo, su scala più ampia, anche per l’elezione del Parlamento europeo. Infatti, sulla base delle ultime proiezioni, l’affluenza nel 2019 è stata la più alta dal 1999 e circa un elettore europeo su due si è recato ai seggi. In alcuni paesi la partecipazione alle europee è stata la più elevata dal 1979 e in molti casi (Austria, Germania, Finlandia, Francia, Danimarca, Spagna, Svezia ecc.) è cresciuta, in media, di oltre due punti percentuali, rispetto ai risultati di cinque anni fa.

Come si spiega questo rimbalzo dell’affluenza? Possiamo anche pensare che la crescita della partecipazione in Europa sia dovuta all’espediente tecnico degli Spitzenkandidaten o all’accresciuta rilevanza legislativa del Parlamento europeo. Ma, in realtà, c’è una ragione più profonda che ha innescato il cambio di marcia nella partecipazione elettorale. Oggi l’Unione Europea è diventata un terreno di confronto e conflitto politico, che si riflette direttamente sulle politiche nazionali e condiziona i rapporti fra i governi con le istituzioni sovranazionali. E per quanto possa apparire paradossale, gli attori principali di questa crescente politicizzazione sono stati proprio quei partiti che vorrebbero ridurre, depotenziare, se non distruggere l’Unione Europea. Questa è stata la dinamica che ha spinto verso l’alto la partecipazione elettorale a livello europeo, innescando una polarizzazione tra partiti europeisti e formazioni euroscettiche che ha favorito la mobilitazione dell’elettorato.

Rispetto a questa tendenza generale, l’Italia rappresenta un’infelice anomalia. Non l’unica, ma certamente una tra le più importanti. Infatti, rispetto ai risultati di cinque anni fa, le elezioni europee in Italia hanno fatto registrare una contrazione dell’affluenza superiore ai 2 punti percentuali, con scarti maggiori soprattutto nelle regioni del Sud (in particolare, in Abruzzo Sicilia, Sardegna, Campania e Calabria, dove la differenza nella partecipazione rispetto al 2014 è, in media, di oltre 5 punti). In questo scenario di astensionismo crescente, è la capacità di mobilitazione dei partiti – online e offline – a diventare l’arma vincente nelle urne. Salvini è riuscito a utilizzarla soprattutto nelle regioni del Nord, mantenendo quasi stabile la partecipazione e riuscendo a mobilitare una parte significativo del suo elettorato. Al contrario, il consenso per il M5s si è sgonfiato proprio laddove la partecipazione è calata di più e, peraltro, in quelle regioni in cui il partito di Di Maio aveva raccolto i maggiori consensi nelle elezioni del 2018.

Naturalmente, è ancora troppo presto per capire quali siano state le motivazioni per cui gli elettori del M5s, in particolare quelli delle regioni meridionali, hanno abbandonato – temporaneamente o stabilmente – il loro partito. Quello che è certo è che, a partire, da oggi si apre una nuova competizione per la conquista degli elettori del Sud, o almeno dei tanti delusi dalle promesse esagerate del M5s e dalle realizzazioni del governo Conte.

Chiunque vorrà correre il rischio di una nuova avventura elettorale, è al Sud che dovrà indirizzare i suoi sforzi.