Sette anni. Tanto è durata la lunga striscia di sconfitte azzurre nel Sei Nazioni. Nessuno si aspettava che quella interminabile, umiliante, sconfortante teoria potesse interrompersi a Cardiff, in casa del Galles, dove l’Italia aveva strappato un pareggio nel lontano 2006 e nulla di più. Invece è successo. E’ del tutto superfluo ricordare che cosa sia il Galles nel rugby, quanti titoli abbia vinto, quanti dei suoi campioni abbiano scritto la storia di questo sport. O che cosa sia quello stadio, il Principality, costruito in centro città, di fianco all’antico Arm’s Park, un’altra cattedrale del rugby gallese che con l’avvento del professionismo era stata relegata a impianto locale per la squadra di casa, i Cardiff Blues. Invece l’Italia lo ha espugnato.

22 a 21. Un solo punto di scarto. Tanto è bastato. La vittoria degli azzurri è giunta all’ultimo minuto, con un favoloso guizzo di Ange Capuozzo, il ragazzino di Grenoble, figlio di un migrante napoletano, che ha seminato avversari come birilli e ha consegnato a Edoardo Padovani la palla da schiacciare in mezzo ai pali. A tempo scaduto Paolo Garbisi ha potuto così calciare la più agevole delle trasformazioni e siglare il definitivo sorpasso, pietrificando i giocatori gallesi e il loro pubblico. Non è stata però una vittoria rubata, il frutto di un qualche fortunato episodio o di una estemporanea astuzia. L’Italia ha giocato meglio dei suoi avversari. E ha pienamente meritato. La squadra ha giocato a rugby per tutti e ottanta i minuti del match. Un ottimo rugby. Nessuno se lo aspettava. Ha interpretato la partita nel modo più intelligente: con disciplina, impegno e competenza. La prestazione del pack e il presidio nei punti di incontro, i cosiddetti breakdown che seguono il placcaggio, sono stati superlativi. Paolo Garbisi ha disputato la miglior partita da quando è stato promosso titolare nel ruolo di mediano di apetrura; accanto a lui Callum Braley è apparso trasformato. Ignacio Brex quasi perfetto sia in difesa che nelle fasi di attacco. Bene le touches. Monty Ioane è stato una spina nel fianco destro della difesa gallese per tutta la partita. Tutti bravi: pochi errori, molta qualità.

E POI il ragazzino, quello con il fisico “normale”, 1,77 per 76 chili, uno che a vederlo ti viene da pensare se sia davvero il rugby lo sport adatto per uno come lui. Ma Ange Capuozzo ha la scuola rugbistica francese dento di sé: il gusto per l’azzardo, la velocità di gambe, le finte, il cadrage debordement che lascia l’avversario piantato sul posto. E l’intelligenza, soprattutto: il rugby è un gioco mentale, non una questione di forza bruta. Fin dal primo minuto si è compreso che il copione previsto non sarebbe stato rispettato. Un Galles lento, impreciso, indisciplinato, con molte difficoltà a sviluppare il gioco alla mano. E una difesa azzurra aggressiva, avanzante, moderna. I calci di punizione (Garbisi e Padovani) portavano subito l’Italia avanti di 6-0. Poi la meta di Owen Watkin riportava avanti i dragoni (7-6) ma per soli quattro minuti. Altri falli, altri calci azzurri tra i pali: 12-7 e un paio di occasioni di andare in meta che non venivano sfruttate. Si andava al riposo con l’Italia avanti e l’impressione che l’impresa fosse a portata di mano: bastava insistere e continuare così. Era ancora Ioane, in apertura del secondo tempo, a sfiorare la meta. L’ala di origine tongana si costruiva l’opportunità in tandem con Pettinelli ma vanificava tutto per un eccesso di egoismo. Poi arrivava la seconda meta gallese (Dewi Lake) al termine di una maul ma anche questa volta il sorpasso durava poco, appena cinque minuti. Un altro fallo della difesa gallese e Garbisi non perdonava calciando tra i pali: 15-14.

ERA UN MATCH di sorpassi e controsorpassi, ma era l’Italia a stare sempre un passo avanti. Il primo, vero errore degli azzurri arrivava al 68’, con Josh Adams che infilava il giusto angolo di corsa e due placcaggi mancati (Brex e Bigi) gli spianavano la strada: meta, trasformazione e Galles avanti 21-15. Un vantaggio di sei punti non sufficiente per mettere i gallesi in sicurezza. Un’altra meta (sarebbe stata la quarta) era annullata per un “tenuto alto” e si era al 73’ con sette minuti da giocare e i gallesi che non si sentivano per nulla tranquilli, non i quindici in campo e nemmeno i 70 mila sugli spalti del Principality. La difesa azzurra non mollava un centimetro e i rimpiazzi dalla panchina percepivano anche loro quella strana aria che si respira quando qualcosa di inaspettato può accadere. Et voilà, il tipetto di Grenoble inventava: slalom, fuga sulla fascia, un altro avversario scherzato con una finta spericolata, palla regalata a Padovani, meta. Garbisi trasformava e poi crollava a terra incredulo. Tempo scaduto. Ventidue a ventuno. Festa, spettacolo. Il cucchiaio di legno resta nella bacheca azzurra ma questa volta l’ultimo posto ha un altro sapore. E domani è davvero un altro giorno.