Prendete il XV rapporto Almalaurea sul profilo dei laureati e scoprirete quante menzogne sono state raccontate dai ministri della Repubblica a proposito degli studenti italiani. È facile, basta andare sul sito di questa seria istituzione bolognese per capire che nel 2012 tra i 227 mila studenti che hanno concluso un ciclo di studi universitario l’età media dei laureati è diminuita: 23,9 anni per i laureati di primo livello, 25,2 anni per le lauree magistrali e 26,1 per quelle magistrali a ciclo unico. Almalaurea delinea un’altra tendenza: anche il numero dei fuoricorso è diminuito tra il 2001 e il 2011: le studentesse e gli studenti che si laureano regolarmente sono aumentati in dieci anni del 41% da 172 mila a 299 mila.
Non se n’erano accorti l’ex ministro dell’Istruzione Francesco Profumo o l’ex viceministro al Welfare Michel Martone, entrambi professori ordinari il primo al Politecnico di Torino e il secondo all’università di Teramo i quali, solo un anno fa, lanciarono l’allarme: le nostre università sarebbero popolate da persone che impongono alla comunità «costi sociali» insostenibili (Profumo) o da «sfigati» che non si laureano in tempo e cercano rifugio al calduccio nelle aule (Martone). La sconfessione non poteva essere più clamorosa. Non solo cresce la frequenza delle lezioni (68%), ma tra i laureati aumenta chi ha fatto una o più esperienze di stage e tirocini durante il corso degli studi (+56%), mentre il 18% di chi ha una laurea magistrale ha fatto un’esperienza di studio e lavoro all’estero. Diversamente, poi, da quanto credeva il ministro Cancellieri il 44% dei laureati è disposto a cambiare città e dunque a vivere lontano da mamma e papà.
I dati del fact-checking di Almalaurea permettono di rifiutare gli inviti a «non perdere tempo per una laurea se si vuole avere successo nella vita». E di non dare credito ad un’altra leggenda alimentata a piene mani dalle istituzioni, e dai grandi media: quella per cui l’Italia avrebbe «troppi laureati per di più mal assortiti», e «lavoratori non richiesti dal mercato». Questi pregiudizi nascondono il fatto che in Italia solo il 21% della popolazione è laureata, contro il 42% negli Stati Uniti. In altre parole, i laureati sono troppo pochi tra i giovani e sono ancora di meno tra chi ha tra i 54 e i 65 anni: solo l’11%. Tra i paesi Ocse l’Italia ha la popolazione meno preparata nell’istruzione terziaria, cioè quella necessaria a vivere in una società complessa, precaria e in crisi com’è quella occidentale oggi. Il problema è che questi pochi trovano sempre meno lavoro. È dal 2004 che diminuiscono gli occupati con un’alta qualificazione (laurea, dottorato o specializzazioni), mentre negli altri paesi europei accade l’opposto. Anche se i laureati continuano a godere di un tasso di occupazione più elevato di oltre 12 punti rispetto ai diplomati, questa realtà è dilagata negli anni della crisi danneggiando il senso, sociale e simbolico, di un corso universitario. Almalaurea spiega anche così il motivo per cui tra il 2003 e il 2011 le immatricolazioni sono calate del 17% da 338 mila a 279 mila. Ma su questo dato ha anche influito il taglio dei fondi alll’istruzione che confermano l’Italia agli ultimi posti per finanziamento alla scuola e all’università. Insomma lo Stato ha deciso di dismettere l’istruzione pubblica di massa e ha cercato di attribuire la responsabilità agli studenti. Da oggi, forse, l’epoca degli insulti ai «choosy» è finita. È giunto il momento di attribuire le responsabilità a chi di dovere.