Sorpresa, i delegati all’assemblea nazionale del Pd che domenica scorsa ha rieletto Renzi segretario vorrebbero che il partito si presentasse al voto con un’alleanza del centrosinistra. Lo ha rivelato un’analisi condotta da Candidate e Leader Selection e pubblicata ieri su Repubblica.it. La cosa potrebbe sembrare scontata, se non fosse che il 69,8 per cento dei delegati ha votato per Renzi che però nel suo programma invece delle alleanze a sinistra ha la famosa «vocazione maggioritaria», quella del «corriamo soli».

Alla domanda «alle prossime elezioni come dovrebbe competere il Pd», i sostenitori di Andrea Orlando hanno risposto al 75 per cento «in alleanza con il centrosinistra», quelli di Renzi solo il 31 (contro il 39 che preferisce la corsa solitaria). La media è il 48 per cento per le alleanze contro il 29 per l’autosufficienza. Dopo il voto, in assenza di centrosinistra, toccherebbe ad un’alleanza con il centro o il centrodestra? Sì per il 79 per cento dei renziani e solo per il 38 degli orlandiani.

Ssecondo i ricercatori di C&LS Luciano Fasano e Paolo Natale già da questi primi indicatori balzaè evidente una divisione netta del Pd in due anime. Alcuni esempi. Come deve essere eletto il segretario? I renziani all’80 per cento rispondono con primarie aperte, come oggi; gli orlandiani al 73 per cento rispondono «solo dagli iscritti». Chi dovrebbe prendere le decisioni importanti del partito? Per i renziani la direzione (il 66 per cento), per gli orlandiani gli iscritti (il 67).  Nel Pd di Renzi dunque convivono, almeno per ora e chissà fino a quando, due partiti diversi di «diversità inconciliabili che possono essere evidenziate in riferimento sia ai temi riguardanti la forma del partito che tra quelli concernenti le politiche da adottare», scrivono i ricercatori. Linee che in realtà tagliano tradizionalmente le forze della sinistra, «le troviamo spesso presenti in tutte le maggiori forze politiche che si richiamano ad una tradizione progressista: Blair contro Corbyn nel Regno Unito, Schroeder contro Lafontaine in Germania, Veltroni contro D’Alema a casa nostra». O, per venire ai nostri giorni, Renzi contro Orlando.

E infatti il 70 per cento dei renziani crede che il potere del sindacato sia eccessivo, mentre fra gli orlandiani solo uno scarso 23. Fra i primi il 68 per cento crede che il Pd debba parlare a tutti gli italiani, «senza barriere ideologiche», fra i secondi solo il 23. E se in entrambi i gruppi il lavoro è uno dei primi valori del Pd, i renziani indicano l’uguaglianza e il merito al 40, e invece sulla sola uguaglianza si concentra l’80 per cento degli orlandiani, e solo il 10 per cento sul merito.

Anche su forma di governo e legge elettorale le differenze si misurano. Se in generale l’84 per cento dei delegati ritiene che la legge elettorale debba favorire la governabilità e il 52% considera prioritario rafforzare i poteri dell’esecutivo, preferendo il semi-presidenzialismo o il premierato, fra gli orlandiani il parlamentarismo è la forma di governo preferita, al 67 per cento; anche tra i renziani, ma solo al 41 per cento.