«Convertiremo le lacrime e il dolore di questi ultimi 12 anni in allegria». Così si è espressa Xiomara Castro del progressista Partido Libertad y Refundación che, nonostante qualche timido sondaggio favorevole della vigilia, a metà scrutinio col 53% dei suffragi sopravanza di ben 20 punti il suo concorrente, l’impresario Nasry Asfura del governante Partido Nacional.

IL CLAMOROSO RISULTATO (a turno unico) dovrebbe essere irreversibile, ma la prudenza è d’obbligo finché il tribunale elettorale non avrà ufficializzato il successo di Xiomara, il cui attuale alleato Salvador Nasralla già quattro anni fa era stata di fatto vittima dei brogli dell’uscente presidente Juan Orlando Hernandez. Del resto lo stesso Asfura, attuale sindaco della capitale Tegucigalpa (dove è accusato di malversazione di fondi) si è insidiosamente attribuito in anticipo la vittoria.

A fare la differenza dovrebbero essere le verifiche degli osservatori internazionali sia dell’Organizzazione degli Stati americani che dell’Unione europea e del Centro Carter, i quali, al contrario che in Nicaragua il 7 novembre scorso, son potuti giungere numerosi in Honduras.

LA DISPERAZIONE di un paese ridotto letteralmente a narco-stato ha indotto così oltre il 60% della popolazione (per la metà giovani fra i 18 e i 30 anni) a recarsi alle urne (un record rispetto alle ultime due consultazioni) e a ribaltare una situazione che aveva visto proprio nel 2009 il marito di Xiomara, Manuel Zelaya, vittima di un golpe che lo rovesciò dopo che da liberale quale era aveva aderito al chavismo bolivariano. I militari la notte di quel 28 giugno lo prelevarono letteralmente in pigiama dal palazzo presidenziale e lo scaricarono in Costa Rica.

Sta di fatto che la 62enne Xiomara Castro (un cognome, un programma) che dal prossimo 27 gennaio diventerebbe la prima donna alla presidenza dell’Honduras, è apparsa ieri trionfante vestita di rosso e nero, i colori della rivoluzione cubana e sandinista, esordendo con un «hasta la victoria siempre» di guevariana memoria.

MA NEL SUO PROGRAMMA si mostra determinata quanto prudente, prefigurando «un governo di riconciliazione, pace e giustizia» e «un dialogo senza discriminazioni né settarismi». Il suo approccio è quello di una “rifondazione” del paese con la creazione di una Assemblea Costituente che riformi la Carta Magna.

Xiomara è consapevole dell’arduo compito che l’aspetta: ereditare il governo di un paese dove il presidente uscente Juan Orlando Hernandez è indagato da tempo dall’Antinarcotici statunitense, e rischierebbe dunque l’estradizione negli States (come il fratello Tony che vi sconta già dal marzo scorso l’ergastolo per narcotraffico). E dove il terzo candidato presidenziale, il liberale Yani Rosenthal (sotto il 10% nello scrutinio) era già stato condannato negli Usa a tre anni per riciclaggio.

CASTRO DOVRÀ dunque destreggiarsi fra i cartelli messicani che gestiscono il transito di droga (oltre che il lavaggio dei proventi) e le politiche di Washington che quel malaffare contrasta ma che al contempo aveva ispirato il colpo di stato contro il suo consorte.
Dovrà decidere poi che atteggiamento assumere verso la Cina dopo che l’ultimo viaggio all’estero di Hernandez è stato proprio a Taiwan per consolidare relazioni che – ha dichiarato al suo ritorno – «rischiano di interrompersi con il mio successore». In Centro America Honduras, Guatemala e Nicaragua mantengono da sempre rapporti con Taiwan in cambio di generosi aiuti finanziari e commerciali. Solo Costa Rica e Panama hanno aperto relazioni diplomatiche con la Cina. Mentre il Salvador del twittero e bitcoinero Nayib Bukele ha rotto i rapporti con Taipei nell’agosto scorso in previsione di stringerli con Pechino.

ORA SARÀ DETERMINANTE capire se il partito di Xiomara otterrà la maggioranza dei 128 deputati in parlamento. Cosa piuttosto improbabile di fronte alla dozzina di formazioni politiche in lizza; il che incrementerebbe il livello di mediazione cui sarà costretta, in un paese dove già di per sé l’istituzionalità è ridotta a pezzi. Ma, se confermate, le elezioni in Honduras costituiscono una boccata d’ossigeno, uno squarcio nel desolante panorama politico dell’istmo centroamericano.