Per gli studiosi di graphic novel c’è da registrare una novità: la graphic biography che può anche ospitare tavole autobiografiche, se il narratore lo permette. Ne è autore Edward Sorel (alias Edward Schwartz), famoso illustratore americano, anche cartonista, caricaturista, sempre critico nei confronti di politici corrotti, prelati reazionari – specialmente cattolici –, ideologici di destra e sinistra, e bastardi di vario genere, se stesso compreso. Ha collaborato alle testate più note, «The New Yorker», «The Atlantic», «Time», «The Nation», «Vanity Fair» … iconoclasta, aggressivo, in cerca di un tratto più immediato e incisivo, in odio al bozzetto. Indimenticabili i suoi Jehova furiosi, tra nembi avvolgenti. Nella sua galleria di presidenti americani spiccano Nixon con il suo bugiardo e sornione argomentare, e di recente un Trump-Medusa degno di un pittore barocco. Ebreo di origine polacca, newyorkese per la vita, attento alla cultura popolare degli anni trenta e quaranta, adotta il nome di Jean Sorel per un improvviso amore verso l’eroe stendhaliano del Rosso e Nero, un libertino spavaldo che, come il giovane Schwartz, aveva in odio la società del tempo, la Chiesa, e per primo il padre. «Di lui mi piaceva tutto, compreso il fatto che fosse finito sulla ghigliottina. Considerato il numero di comitati sinistrorsi di cui, in piena isteria maccartista, facevo parte, ero sicuro che anch’io avrei fatto la stessa fine».

Nel 1954 aveva fondato con Milton Glaser e Seymour Chwast i Push Pin Studios, una buona scuola per il design americano moderno. Per capire la ragione secondo cui, felicemente approdato nel libero limbo dei pensionati, Sorel si sia messo alla prova in questo genere per lui nuovo, occorre ricordare che in tutta la sua carriera ha sempre ricercato forme e situazioni in cui gli fosse garantita maggiore libertà di espressione, malgrado la caricatura sempre imponga le sue regole: verosimiglianza e convenienza. Con un tratto vigoroso alla Rowlandson, con pari «rabbiosa energia», ha disegnato per trenta anni nasi bitorzoluti e denti da roditore. E ha scritto le nuvolette sarcastiche che animano le sue numerose caricature di politici e scrittori. Ma è scontento: «Più ti pagano, più devi fare contenti loro e non te stesso». Ammira Levine («come tutti negli anni Sessanta»), Robert Crumb, e come lui vorrebbe disegnare direttamente sulla pagina, senza tracce preparatorie.

Tutto cambia con I diari bollenti di Mary Astor Il grande scandalo a luci rosse del 1936, nell’ottima traduzione di Matteo Codignola (Adelphi, pp. 169, € 20,00), e le numerose tavole dal tratto insidioso e sottile che accompagnano questa comedy hollywodiana d’antan. Sorel stesso è il narratore ingenuo, innamorato della pericolante stellina, Mary Astor, alias Lucille Langhanke (classe 1906) che l’avido padre buttò a 14 anni tra le braccia dello star system – si era ancora ai tempi del film muto – e del primo seduttore, il grande interprete scespiriano John Barrymore. Mary Astor sempre accetterà parti di secondo piano nei film e nella vita dei suoi uomini. Avrebbe potuto anticipare l’altra grande vittima Marylin, ma era completamente integrata in quel brutale sistema, e lo difese quando si trovò coinvolta nello scandalo del suo diario sessuale che in causa di divorzio il secondo marito portò in tribunale per ottenere l’affidamento della loro bambina.

Il narratore innamorato protegge Mary, la giustifica, la disegna sempre più grande, fiera ed elegante, mentre affronta la tempesta giudiziaria e quella ancor più odiosa della stampa che rilascia bollenti indiscrezioni sulle sue «estasi» e un mai esistito elenco delle prestazioni sessuali dei suoi amanti: «Quando leggi frasi come ‘All’alba abbiamo raggiunto l’estasi, insieme, per la quarta volta’ ti tremano le ginocchia». I veri o supposti amanti si somigliano tutti e tutti assomigliano a Sorel: un lungo naso, una faccia beata quando lei lo abbraccia per manifestare gratitudine. Le perdona anche la conversione al cattolicesimo. La vuole incontrare in una sèance spiritica, e lei arriva volando in tailleur bianco, bella e disponibile come al solito. «Sentite, non ho mai detto che Mary ed io siamo la coppia perfetta, a ben vedere quale coppia lo è? Perché Chopin, che soffriva di tubercolosi, ha perso la testa per una fumatrice di sigari? Perché Donald Trump, che si vanta del suo gran gusto, si è innamorato di Donald Trump?». Mary tuttavia colse qualche successo: fu Brigid nella Grande Menzogna (1940) per cui si guadagnò l’Oscar come attrice non protagonista, fu l’affascinante dark lady in The Maltese Falcon (’41), e madre precoce in tanti polpettoni della MGM fino a Piano… piano, dolce Carlotta (’64). Malgrado l’abituale alcolismo e gli altrettanto abituali tentativi di suicidio portò a termine la sua autobiografia che uscì da Doubleday nel 1959 e fu un bestseller. Sorel è riuscito nell’impresa di scrivere l’unica biografia di Mary, letteraria e figurata, e a farla pubblicare da un editore di raffinati classici come Adelphi: una ferita alla tradizione nazional-popolare del romanzo grafico, o invece il vecchio «fumetto» intende gareggiare ormai con il romanzo tradizionale? In un futuro prossimo lo vedremo concorrere allo Strega?