Il governo supera la prova Mes grazie a una risoluzione di quindici pagine in cui al Mes sono dedicate poche righe. Ma che consente ai 5 Stelle di contenere il dissenso e aprire il prossimo capitolo. A fine giornata e prima di partire per il Consiglio europeo di oggi e domani dove si presenterà senza un piano del governo sul Recovery fund, Conte deve prendere atto di aver solo aggirato il primo ostacolo. Quello più piccolo.

Il discorso del presidente del Consiglio serve essenzialmente a rinviare il problema: deciderà il parlamento quando dovrà ratificare lo stesso accordo sul Mes che lui chiede adesso di essere autorizzato a firmare. Bizantinismi, la risoluzione evita il termine «approvare» e lo sostituisce con «finalizzare». Persino comici quando nella disattenzione generale viene approvata col favore del governo un’altra risoluzione, quella di Azione +Europa, che invece descrive positivamente il Mes riformato e parla del Mes pandemico come di uno strumento «adeguato».

Sul mandato a Conte la maggioranza passa, ma con numeri assai ridotti e grazie alle assenze nell’opposizione. Alla camera tocca il punto più basso proprio nel voto che autorizza la firma, stralciato, al quale mancano ben 31 sì dei 5 Stelle tra assenti e contrari (in totale 297 favorevoli). E anche al senato, dove si fa la grazia della votazione per parti separate che avrebbe potuto aprire al disastro, i sì alla mozione sono solo 156, cinque in meno della maggioranza assoluta (non richiesta stavolta). A palazzo Madama i contrari tra i 5 Stelle sono solo due e dieci gli assenti.

Ma ora tocca allo scoglio più grosso. Il Mes quasi non entra nell’intervento del senatore Renzi. Che pensa invece a smontare la «cabina di regia» dei manager, la guida pensata da Conte per il Piano di ripresa e resilienza che attende i miliardi europei. «Le diciamo in faccia che voteremo no», attacca Renzi. Ma la sfida al presidente del Consiglio è a tutto campo, va dal metodo – «una mail arrivata di notte» – al merito – «chi ha deciso solo 9 miliardi per la sanità?» – a tutto il resto: «Nessuno muove un dito per i pescatori sequestrati in Libia», «fermi i suoi collaboratori che telefonano alle redazioni dei giornali per dire che siamo in cerca di poltrone».

E invece non è così, spiega il senatore di Rignano: le «poltrone» dei suoi ministri sono «a disposizione» e il no di Italia viva – che ieri sera ha costretto a un altro rinvio del Consiglio dei ministri – «serve a difendere al dignità del parlamento». «Non cerchiamo un “aggiungi un posto a tavola”», assicura Renzi (citazione della prima pagina di ieri del manifesto). Se non può essere una battaglia ideale contro un metodo di governo, perché privatizzazione delle procedure e disintermediazione somigliano molto al sistema messo in pratica proprio da Renzi nei suoi anni a palazzo Chigi, non significa che non possa essere una battaglia da portare alle estreme conseguenze.

Il motivo lo spiega a taccuino chiuso un parlamentare importante di Italia viva: «I manager che Conte vuole scegliersi sarebbero i protagonisti del piano di rilancio del paese sul modello Arcuri e potrebbero aiutarlo a costruire una forza politica tutta sua». L’ostilità d Renzi, messa così, è innanzitutto competizione.

Alle nove di sera andando via dal senato Conte assicura di essere «tranquillo». Ma lo raggiunge la dichiarazione di Zingaretti che chiede «collegialità e condivisione» e lo richiama alla responsabilità di «trovare una soluzione ai tanti nodi aperti nella maggioranza». Il Pd ha il doppio della cautela di Renzi e il triplo della preoccupazione per l’incidente dietro l’angolo, ma nella sostanza condivide le critiche al modo solitario con il quale il presidente del Consiglio ha immaginato di gestire Next generation Eu. Spera in un ravvedimento di Conte che però a questo punto somiglierebbe molto a una resa. Per questo in serata a palazzo Chigi non si dava ancora per tramontata l’ipotesi originaria di inserire il progetto del piano di ripresa nella legge di bilancio. Con un emendamento che sarebbe una dichiarazione di guerra alla propria maggioranza. Ma Renzi, in tv, prevede: «Conte farà marcia indietro».

Nel dibattito al senato si è vista anche una versione moderata di Salvini, preoccupato – lui – per la riapertura delle scuole a gennaio. Il capo leghista ha fatto plateali complimenti a Renzi in aula, poi ha avvicinato Conte chiedendogli un colloquio. Mentre la capogruppo di Forza Italia Bernini descriveva l’intervento di Renzi come «un pentimento» che «potrebbe avere un seguito». Ma il partito di Berlusconi ha i suoi problemi. Spaccato lungo la linea che divide il richiamo della Lega dalla tentazione dell’intesa con la maggioranza. Molto di più di quanto facciano vedere i dissensi dichiarati di Brunetta e Polverini alla camera e di Cangini al senato. Gli assenti sono molti di più.