Esattamente un anno dopo averne sospeso l’utilizzo (era il marzo del 2019), l’Unione europea vuole adesso rimettere in mare le navi della missione Sophia. Venerdì a Bruxelles si terrà una riunione del Comitato politico e di sicurezza (Cops) con il compito di «rivisitare», per usare le parole del responsabile della diplomazia Ue Josep Borrell, gli obiettivi dell’operazione che devono riguardare soprattutto il rispetto dell’embargo di armi alla Libia. Compito al quale è pronta a collaborare anche la Nato, come ha annunciato ieri al parlamento europeo il segretario generale dell’Alleanza Jens Stoltenberg.

A Roma, nell’ex aeroporto di Centocelle che ormai da cinque anni ospita il quartiere generale di Sophia, le notizie che arrivano da Bruxelles vengono accolte con una relativa calma: «Niente di nuovo, noi comunque siamo pronti» è il commento che si raccoglie. Più che altro si ricorda come già un mandato Onu del giugno del 2017 abbia esteso i compiti dell’operazione, nata inizialmente per fermare il traffico di migranti, anche al controllo dell’embargo e al contrasto del contrabbando di idrocarburi. Ma anche che quando un anno fa si decise lo stop temporaneo delle navi come risposta alle richieste di Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno del governo Conte 1, «si prese comunque l’impegno a essere pronti a riprendere la missione nell’arco di quattordici giorni».

Rispetto al passato le novità casomai sono altre. La prima riguarda la possibile estensione direttamente in Libia per bloccare l’arrivo di armi. La fase 3 della missione europea prevedeva fin dall’inizio la possibilità di mettere piede a terra per arrestare i trafficanti di uomini, distruggere le imbarcazioni usate per portare i migranti e le postazioni radio. Fase mai applicata , perché subordinata a un nuovo mandato Onu e a una richiesta di intervento da parte del leader libico Serraj che non sono mai arrivate. «Oggi sarebbe necessario sempre un mandato dell’Onu, ma rispetto a quel periodo probabilmente servirebbe una richiesta di intervento anche da parte del generale Haftar, oltre che di Serraj, per dare maggiore tranquillità all’intervento e per non rischiare di essere visti come una forza nemica», spiegano al quartier generale. Sottolineando come un intervento a terra non sarebbe comunque pensabile senza la presenza di almeno una nave in zona in grado di fornire supporto logistico, militare e sanitario, nonché per garantire un’evacuazione rapida in caso di necessità. «Come succede adesso con la missione Mare sicuro, che supporta i nostri soldati a Misurata e Tripoli».

C’è poi la questione migranti. Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio vorrebbe che la nuova missione riguardasse esclusivamente l’embargo di armi, senza occuparsi dei barconi carichi di migranti intenzionati a raggiungere l’Europa. Posizione che al momento sembra essere condivisa solo dall’Austria. Non la pensano così , infatti, Germania, Lussemburgo e Finlandia, oltre allo stesso Borrell e alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che fin dall’inizio del suo mandato si è detta favorevole a una ripresa dei salvataggi in mare. Senza contare che il diritto internazionale obbliga chi va per mare a non voltare la testa davanti a chi ha bisogno di aiuto. Cosa che, va riconosciuto, la missione Sophia non ha mai fatto salvando in quattro anni e mezzo più di 45 mila migranti, il 9% del totale di quelli tratti in salvo. E c’è da scommettere che continuerà così nonostante sia ancora tutta da risolvere la questione porti, ovvero dove far sbarcare i profughi. Su questo va detto però che un aiuto potrebbe arrivare dal meccanismo avviato alla Valletta dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese con i colleghi di Francia, Germania e Malta sulla distribuzione in Europa. Meccanismo che sta funzionando, come dimostra anche lo sbarco avvenuto ieri a Pozzallo dei 39 migranti – 19 i minori – salvati dalla nave Ocean Viking, per venti dei quali è già stato deciso il trasferimento in Germania, Francia e Lussemburgo.