Nell’era della mania delle ricorrenze una delle più gradevoli è il centesimo concerto di Bruno Canino per l’Istituzione Universitaria dei Concerti nell’Aula Magna della Sapienza. Entra tutto curvo a passetti stentati. Che tristezza. Questo gran pianista è stato sempre il ritratto dell’energia abbinata alla spregiudicatezza. Vederlo vecchio è strano. Ma chissà che il suo carattere aperto e avventuroso sia rimasto intatto. Per una vita l’abbiamo associato alla musica contemporanea, mai interpretata in modo penitenziale. Anche se ha sempre suonato di tutto. Programma conciliante, adatto al pubblico conservatore dei pomeriggi alla Iuc. Classici del ‘700 nella prima parte, americani otto-novecenteschi nella seconda.

TRA GLI AMERICANI novecenteschi c’è, a contraddire la prudenza del menu, un John Cage che più radicale non si può. Solo cinque minuti, uno degli Etudes Australes. Un ciclo scritto a metà degli anni ’70 per la pianista Grete Sultan. Il metodo compositivo è quello di sovrapporre un foglio trasparente a mappe astrali e vedere che parametri sonori ne escono. La casualità è, però, come sempre in Cage, relativa. La scelta di un linguaggio è qui molto precisa. Questo è il Cage che gioca estremisticamente, ma con piglio edonistico, col puntillismo. L’eredità weberniana e, in genere, del serialismo, c’è e viene sottolineata. Ma lo spirito e anche la libertà formale è di un altro mondo musicale. E poi si tratta di Cage, un grande giocoliere. Giocoliere come Canino. Che qui, con opportuna amplificazione dello strumento, esibisce una sonorità secca e lucida e un procedere quasi danzante, pur tra i singoli suoni isolatissimi. I punti sonori spesso sugli acuti e nessuna frase: un Cage così potrebbe essere eseguito in maniera arida, seppur rigorosa. Non da Canino, che lo capisce e lo rende discorsivo, follemente amabile. Tra gli statunitensi del programma Canino pesca per primo quel Louis Moreau Gottschalk vissuto tra il 1829 e il 1869 che fu un super-virtuoso del pianoforte e compositore ispirato dalle musiche popolari creole e latinoamericane.

Le Bananier e The Union sono delizie fatte di niente e forse non è il caso, di vedervi l’anticipazione del ragtime e del jazz. Bell’intrattenimento anche con l’Aaron Copland di Four Piano Blues, brani scritti tra il 1926 e il 1948. Basta non cercarci l’anima del blues originario e di quello elaborato dai jazzmen. Con nove dei Children’s Songs di Chick Corea l’ottimo Canino fa un po’ rimpiangere il solista autore, che a questi graziosi bozzetti dà più verve e più evocatività.

POI C’È IL PIANISTA vecchio-giovane che suona Haydn (Sonata Hob XVI:13), Mozart (Sonata K 311) e Muzio Clementi (Sonata op. 24 n. 2). Punta sulla continuità di una cultura musicale più che sulle differenze tra gli autori (il vigore battagliero di Clementi lo distingue fortemente dai due colleghi). Sonorità quasi opaca, leggerezza e intelligente uniformità: ecco il modernismo del grande Bruno Canino.