Raramente una figura professionale è stata tanto stigmatizzata, oggetto di feroci critiche nonché di luoghi comuni come il navigator. Si tratta della figura prevista dal reddito di cittadinanza il cui compito è accompagnare i percettori in questo percorso che non si può tradurre nella semplice ricerca attiva del lavoro.

Il reddito è stato volutamente chiamato di cittadinanza non di inserimento lavorativo: dovrebbe avere una funzione ben più importante della semplice ricollocazione dei percettori. La maggior parte dei beneficiari sono persone con alle spalle vite travagliate composte da lunga disoccupazione, piccoli lavori saltuari, scarsa conoscenza informatica e bassa scolarizzazione. Sono persone che nella loro vita hanno affrontato, non soltanto momentanee difficoltà ma periodi interi di emarginazione dovuti ai più svariati motivi sia personali che professionali. Queste persone troppo spesso sono state dimenticate ed emarginate.

Quello che li contraddistingue di più, quindi, non è soltanto la mancanza di un lavoro stabile ma la disillusione, lo scoraggiamento, la difficoltà a rimettersi in gioco, la diffidenza verso il prossimo. Se non si rompe il muro che si è creato tra la società e queste persone non c’è offerta di lavoro che possa andare bene. Ed è qua che entra in gioco il ruolo del navigator che, al di là della babele burocratica che si cela dietro il reddito di cittadinanza, deve riuscire a fare breccia nella vita di queste persone.

Si dirà che ci sono gli assistenti sociali ma essi non hanno le risorse per occuparsi di una platea così ampia ed è giusto, invece, che si concentrino sulle situazioni più gravi. Ad una significativa parte dei percettori serve un orientamento che non sia la somministrazione di un corso di formazione ma la capacità maieutica di accompagnare queste persone verso un loro graduale reinserimento nell’alveo della società.

La stessa società di cui noi ci sentiamo parte, composta di diritti e doveri, di welfare e regole, di assistenza e partecipazione. Senza questo passaggio, senza un reinserimento di queste persone nella loro “cittadinanza”, intesa nel senso più ampio del termine, tutta la misura del reddito perde il suo significato.

Timidi segnali, prima dell’emergenza Covid, si erano visti con una percentuale di inattivi (cioè persone che non studiano e non cercano lavoro) in ribasso e un innalzamento della quota di disoccupati (cioè persone che si erano recati presso i centri per l’impiego per dare la propria immediata disponibilità al lavoro).

Se non si parte da queste considerazioni ogni ragionamento sul reddito di cittadinanza perde di significato tra chi vorrebbe usare i percettori per raccogliere frutta e verdura nei campi (come se chiunque possa farlo a prescindere dalle sue condizioni psico-fisiche) a chi sostiene che il reddito di cittadinanza sia solo una misura per far stare sul divano le persone (delle due l’una: o il reddito è solo assistenza o se pretendi che non lo sia devi associare politiche attive del lavoro).

Leggere, come il nuovo presidente di Confindustria Bonomi sostiene, che «tagliando» noi i navigator si risparmierebbero miliardi che potrebbero finanziare il taglio dell’Irap dà la cifra del livello del dibattito quando scopri che dal «taglio» risparmieresti solo 120 milioni cioè lo 0,5% del gettito Irap.

Detto questo sarebbe falso non ammettere che il reddito di cittadinanza è una misura complessa che ha mille difficoltà organizzative tra sistemi informatici che non si parlano tra loro, ritardi organizzativi di tipo burocratico, una non sempre efficiente sinergia tra navigator e centri per l’impiego.

Infine c’è un ultimo punto anch’esso dimenticato dal dibattito: il reddito di cittadinanza ha circa un anno di vita: non si può pensare di introdurre una misura come questa che, necessariamente, deve dialogare con mille realtà locali, occupandosi di persone fragili ed emarginate, e sperare che essa entri a regime immediatamente.

Chi pensa di poter ottenere risultati immediati deve comprendere che a bisogni complessi corrispondono misure altrettanto complesse bisognose di tempo per mostrare le proprie capacità.

Si dice che la qualità di un paese si ricava dalla civiltà delle sue carceri. Stiamo attenti perché oltre le carceri fisiche esistono quelle sociali e ogni persona che noi emarginiamo dalla nostra società vuol dire privarla di un qualcosa che dovremmo sempre garantire: la libertà.

* Navigator Anpal servizi provincia di Milano